Ario - Arianesimo Eresie dettagli - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Ario - Arianesimo Eresie dettagli

Gruppi eretici e dottrine
Il credo e l'eresia ariana
Scritto da Alberto TORESANI   

La  riflessione sull’Incarnazione è stata oggetto di grandi dispute  dottrinali. Molte eresie si opposero al mistero dell’Incarnazione o lo  falsificarono. La definizione del Credo nei concili di Nicea e  Costantinopoli


L’anno prossimo celebreremo l’Editto di Milano  col quale Costantino dichiarava il cristianesimo religio licita  nell’Impero romano (313). La pace esterna alla Chiesa mise in luce un  sottile, ma devastante dissenso tra le due scuole teologiche più  importanti dei primi secoli, Alessandria e Antiochia. La scuola  antiochena preferiva esaminare le Sacre Scritture secondo un rigoroso  metodo storico, assumendo per ogni termine il significato letterale.  Perciò, quando nell’Antico Testamento si parla dell’unicità di Dio,  bisogna ribadire l’impossibilità di introdurre una qualche distinzione  nella sua essenza unica, alla maniera di ebrei e musulmani. Per questo,  quando si parla di Gesù bisogna ammettere che è il più grande dei  profeti, prediletto da Dio, ma non è Dio, perché Dio è unico. Con ciò si  corre il pericolo di considerare Gesù come un uomo abitato da Dio  durante la sua permanenza tra gli uomini, come un tabernacolo che  accoglie il Sacramento dell’altare. Ario era un presbitero di Alessandria un po’ anomalo,  perché era originario della Libia e discepolo di Luciano di Antiochia,  morto martire durante la persecuzione di Diocleziano. La scuola di  Alessandria era stata illustrata da maestri come Clemente Alessandrino e  Origene.
 

Per influsso di un famoso erudito ebreo, Filone  Alessandrino contemporaneo di Gesù, tale scuola aveva elaborato un  metodo esegetico fondato sull’allegoria, comportante la lettura degli  episodi biblici non solamente alla lettera, bensì secondo un significato  morale, allegorico e anagogico. Quando leggiamo la favola del lupo e  dell’agnello il significato letterale è il meno importante. Il  significato morale suggerisce di schierarsi dalla parte di innocenti e  perseguitati. Il significato allegorico identifica il lupo con crudeli e  violenti. Il significato anagogico considera la favola come occasione  per ribadire che violenza e inganno saranno giudicati da Dio secondo una  giustizia eterna. La scuola di Alessandria non aveva difficoltà ad  ammettere che Gesù “è vero uomo e vero Dio”. Infatti, la natura o  sostanza di Dio è unica, ma le sue operazioni sono triplici. Egli è  Padre in quanto creatore; è Figlio in quanto Redentore dell’umanità; è  Spirito Santo in quanto fondamento della Chiesa.

La predicazione di Ario
A partire dal 322, Ario cominciò a predicare affermando che Cristo è una meravigliosa creatura, ossia che anch’Egli è stato creato,  anzi ci fu un tempo in cui Cristo non era. Queste erano sue deduzioni  personali in contrasto con l’insegnamento di Alessandria. Ario  dimenticava di far passare la sua predicazione attraverso il vaglio del  suo vescovo, che ha questo diritto e dovere. Qualche fedele denunciò le  novità di Ario e perciò il vescovo Alessandro convocò un sinodo di  vescovi egiziani e fece esporre in pubblico dibattito le tesi di Ario,  ribattute dal diacono Atanasio, il quale affermò che se Cristo non è  anche vero Dio, il suo sacrificio sulla Croce non risulterebbe  l’espiazione adeguata del peccato degli uomini, che perciò rimarrebbero  separati da Dio. Tutti, tranne pochi vescovi e presbiteri, acclamarono  questa conclusione, mentre Ario rifiutava la ritrattazione. Egli preferì  scrivere una lettera agli amici “collucianisti” in Siria, quasi che ad  Alessandria si fosse condannato un modo legittimo di far teologia. I  “collucianisti”, ossia i seguaci della scuola di Luciano di Antiochia  che si opponevano all’allegorismo della scuola alessandrina, più famosi  erano Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea di Palestina, amico  dell’imperatore Costantino e suo futuro biografo. Costoro inviarono  lettere al vescovo Alessandro suggerendogli di riaccogliere Ario tra il  suo clero, affermando che le sue opinioni erano pienamente legittime e  largamente condivise in Siria. Alessandro dovette scrivere una lettera  circolare per esporre il reale andamento dei fatti accaduti nel sinodo  egiziano e la gravità delle conseguenze di un insegnamento non  ortodosso.

L’intervento dell’imperatore Costantino
L’imperatore  Costantino venne a conoscenza della disputa e la considerò  politicamente pericolosa perché coinvolgeva le due province più  importanti per l’Impero: la Siria che ospitava l’esercito più numeroso e  l’industria per rifornirlo, e l’Egitto, il solo paese produttore di  eccedenze di frumento per le capitali dell’Impero. Dunque due province  strategiche. Costantino minimizzò i fatti, come se si trattasse di  questioni di parole e decise di convocare i vescovi dell’Impero nella  sua villa estiva di Nicea. Nel maggio 325 circa trecento vescovi, quasi  tutti orientali (in occidente il problema sollevato da Ario non  esisteva), iniziarono le discussioni alla presenza di Costantino. Quando  i Padri conciliari udirono la tesi secondo cui Cristo non era coeterno  al Padre ed era una creatura come le altre, inorridirono.

A stragrande maggioranza fecero comprendere che Cristo era Dio come il Padre
.  Eusebio di Cesarea presentò la professione di fede o credo in uso in  alcune città della Palestina. Il testo è quello che noi recitiamo la  domenica. Parlando di Cristo si afferma: «Dio vero da Dio vero, generato  non creato, della stessa sostanza del Padre ». Poiché l’errore di  Ario era di natura filosofica, fu aggiunto quel termine homoousios  (“della stessa sostanza”, “consustanziale”)  che non ha origine biblica, bensì filosofica. La cosa scontentò non  solo i pochi ariani convinti, ma anche molti vescovi e per circa mezzo  secolo fu causa di discordie. Ario fu condannato all’esilio con due  vescovi irriducibili, ma in seguito molti altri vescovi adottarono  posizioni vicine all’arianesimo.

Alcuni grandi Padri della Chiesa  – san Basilio di Cesarea di Cappadocia, san Gregorio di Nazianzo e san  Gregorio di Nissa – nel decennio tra il 370 e il 380, riuscirono a  elaborare un linguaggio teologico rigoroso affermante che nella Trinità  esiste una sola sostanza divina, con tre ipostasi ovvero persone divine:  Dio Padre cui si attribuisce il compito della creazione; Dio Figlio cui  si attribuisce il compito della redenzione comportante l’assunzione  dell’umanità nella vita trinitaria; Dio Spirito Santo con il compito di  santificare la Chiesa. Quest’ultima acquisizione fu ottenuta nel corso  del concilio di Costantinopoli, celebrato nel 380, ossia proclamando che  lo Spirito Santo è persona divina. Così fu completato il Credo,  definito da allora niceno-costantinopolitano.

Il nestorianesimo
Nel  431 si rese necessaria la convocazione del concilio di Efeso a causa di  un maldestro intervento di Nestorio, vescovo di Costantinopoli,  proveniente dalla scuola di Antiochia: egli negava la legittimità del  titolo “Madre di Dio” attribuito alla Madonna. Voleva che si dicesse  “Madre di Cristo”. Il Concilio fu convocato nella città mariana per  eccellenza e durò un solo giorno. Poiché la natura umana e la natura  divina in Cristo sono unite, senza confusione o assorbimento di una  nell’altra, nell’unica Persona del Verbo incarnato, il Logos di Dio, la  Madonna, vera Madre di Cristo, a pieno titolo è anche vera Madre di Dio.  La Madonna rimane una semplice creatura, ma ha conseguito una dignità  unica perché umanità e divinità in Cristo formano una persona  indivisibile. Perciò la Madonna è anche Madre di Dio.

Il monofisismo
Il  quarto concilio ecumenico di Calcedonia, riunito nel 451, fu causato da  un intervento ingenuo di Eutiche, un monaco ascoltato a corte, ma  inetto come teologo speculativo. Egli riteneva che in Cristo, dopo  l’ascesa al cielo, la sua umanità, messa in relazione con la divinità,  risultasse irrilevante: come una goccia di miele (l’umanità di Cristo)  non riesce a modificare la salinità del mare (la divinità di Cristo)  così questa finisce per assorbire l’umanità. Tale eresia viene definita  monofisismo, una sola natura presente nel Cristo della gloria. Si tratta  di un’eresia che non sa riconoscere la grandezza della natura umana  redenta da Cristo e inserita per sempre nella Trinità divina. Tutto ciò  rappresenta un invito a riconoscere la grandezza dell’uomo che ha  indotto Dio a incarnarsi, divenendo del tutto simile all’uomo, tranne  che per il peccato.

Per saperne di più...


Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 465, 466, 467.
Manlio Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1975.


Dossier: IL MISTERO DELL'INCARNAZIONE

IL TIMONE  N. 111 - ANNO XIV - Mrzo 2012 - pag. 44 - 45


ARIANESIMO

Gli antefatti

Per  comprendere correttamente la portata del fenomeno ariano occorre fare  alcuni passi indietro, risalendo ai fondamenti di questo pensiero e alla  situazione sociale e religiosa dell'oriente nel II–III secolo d.C.

In  particolare occorre ricordare che dal II secolo si erano imposte in  tutta la cristianità due grandi scuole teologiche, quella di Alessandria  e quella di Antiochia.

La scuola di Alessandria era molto  rinomata per il contributo dato agli studi biblici; ad Alessandria era  stata tradotta la Bibbia ebraica in greco (traduzione dei LXX), e sempre  qui era interpretata. La moda del momento faceva propendere per  un'interpretazione allegorica, che si avvaleva della riflessione  platonica.

Sempre ad Alessandria erano sorte figure straordinarie  tanto per la filosofia (Filone) quanto per la teologia (Panteno,  Clemente, Origene, Atanasio, Didimo il cieco).

Alessandria era anche un costante riferimento per l'occidente romano circa le questioni che fiorivano in Oriente.

Questa  scuola in campo cristologico arrivò ad esaltare la divinità di Gesù  fino a misconoscere la Sua umanità, la natura umana era assorbita, per  così dire, dalla divinità. Se Cristo aveva redento l'umanità era Dio.

Giovanni Crisostomo †

Nato  a Mopsuestia fra il 344 e il 354, studiò filosofia e retorica.  Consacrato sacerdote nel 386 e nominato Patriarca di Costantinopoli nel  397, in occasione di un sinodo ad Efeso depose sei vescovi simoniaci e  giunse ad accusare la corte imperiale di facili costumi. In occasione  del "sinodo della Quercia", sobborgo di Calcedonia, un gruppo di vescovi  nemici, su sollecitazione della corte, lo dichiarò deposto. Il popolo  si ribellò e l'imperatrice, spaventata, fu costretta a richiamarlo ma  per poco: nel 404 gli inflisse un secondo esilio, e Giovanni morì prima  di arrivare a destinazione: era il 14 settembre 407.

La scuola di  Antiochia si destreggiava, invece, su posizioni diametralmente opposte.  Lo studio della Bibbia procedeva in base ad un criterio rigorosamente  scientifico, per lo più storico-grammaticale. Ad Antiochia operò  l'irridente studioso sofista Luciano di Samosata come anche Eustazio,  Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo ecc.

In campo  cristologico la principale preoccupazione fu di salvare l'umanità anche a  costo di correre il rischio di essere fraintesi sulla divinità. Se il  Cristo aveva redento l'umanità, aveva anche dovuto totalmente sposarla.

Le  due scuole si scontrarono selvaggiamente più volte. Tutte le occasioni  erano valide per additare come pubblici eretici i rappresentanti della  scuola avversa, per tentare in ingraziarsi i favori del Papa.  Analizzando i rispettivi pensieri, oggi possiamo cogliere come entrambe  le scuole si erano fatte portavoce di una parte della verità. La  soluzione delle polemiche si ebbe quando la teologia fu in grado di  riassumerle in una mirabile sintesi. Non fu cosa facile, anche perché  nel frattempo avevano esportato la loro cultura oltre i confini dei  rispettivi patriarcati, e influenzavano prepotentemente la teologia e la  politica del Papa e dell'Imperatore.

Presso la scuola di  Alessandria si era fatto largo il figlio di un grammatico che verso il  361 fu ordinato vescovo di Laodicea: Apollinare. Si può considerare  questo personaggio come il padre della prima grande eresia che  riguardava la persona di Cristo. Seguendo la filosofia di Platone, egli  ammetteva nell'uomo tre elementi: il corpo, l'anima irrazionale o  animale e lo spirito o anima razionale. Il Cristo, secondo lui, avrebbe  posseduto i primi due elementi, ma non il terzo che era sostituito dal  Logos, dalla sua natura divina (anche se in quei tempi non si usava  ancora questa terminologia). Ne derivava che Gesù possedeva una divinità  perfetta, in virtù della presenza dell'anima razionale divina, ma non  di una "umanità" perfetta, mancando ad essa l'anima razionale.

Per  Apollinare non c'erano altre soluzioni: due esseri come possono essere  Dio e l'uomo non possono produrre unità, ma al limite un ibrido.  L'umanità e la divinità non possono, poi, coesistere insieme in una  persona (come volevano i suoi avversari ortodossi), come due universi  non possono coesistere in un solo universo.

Affermare che in Gesù  ci sia solo l'anima razionale divina significa sostenere  l'impeccabilità di Gesù, dato che l'anima razionale era il centro di  autodeterminazione sul bene e sul male.

Apollinare riteneva che  in Gesù ci fosse una sola natura razionale, anche perché per lui natura  corrispondeva a persona, e gli apostoli avevano incontrato una sola  persona, non due. Cristo, dunque, era uomo solo dal punto di vista  biologico, genetico (diversamente non si sarebbe potuto incarnare), ma  dal punto di vista ontologico, "essenziale" era solo Dio.

La  reazione al suo pensiero si fece ben presto sentire: negando a Cristo  un'anima razionale umana, Apollinare finiva per negare valore  all'incarnazione e alla redenzione. Come poteva Cristo averci salvato  totalmente se non era in grado di sposare completamente la nostra natura  umana? Nel 362 alcuni vescovi riuniti ad Alessandria scrissero:

«  Il Salvatore non possedeva un corpo privo di un'anima, della percezione  dei sensi e dell'intelligenza. Perché il Signore si fece uomo per noi,  era impossibile che il suo corpo fosse senza intelligenza (umana).  Inoltre non soltanto il corpo, ma anche l'anima furono riscattati dal  Logos. »

Sotto il papato di Damaso I (366-384), i suoi errori furono definitivamente condannati da due sinodi tenutisi a Roma,  e nel 381 ci fu l'ufficiale sentenza del I concilio di Costantinopoli.  Ad Alessandria, però, la strada era stata aperta, ed era una strada che  si rivelò irta di errori e di condanne.

Storia dell'arianesimo

L'uomo  sotto il cui nome la contesa entrò nella storia era un presbitero nella  comunità parrocchiale di Baucali, sobborgo di Alessandria. Era  originario della Libia, ma aveva studiato teologia ad Antiochia. Un  antiocheno, dunque, che predicava nella sede patriarcale alessandrina!

Intorno  al 313 Ario divenne protagonista delle cronache locali perché iniziò ad  insegnare una dottrina nuova relativamente al rapporto fra il Padre e  il Figlio, che ebbe notevole seguito nella sua comunità e fra gli altri  preti. Per questo l'arianesimo va annoverato fra le eresie trinitarie e  non cristologiche, come la maggioranza dei libri di storia e di  filosofia vuole far credere.

Il vescovo Alessandro, conosciuti i  contenuti di questi insegnamenti, richiamò il proprio sacerdote e  convenne con lui sulla necessità di organizzare "una conversazione  teologica" in cui ad Ario fu data la possibilità di confrontarsi con un  contraddittorio. In questo modo Ario probabilmente spiegò per la prima  volta che secondo lui « il Figlio di Dio è creato dal nulla [...] ci fu  un tempo in cui Egli non era [...] è in grado di accogliere il bene e il  male secondo il suo libero arbitrio [...] è prodotto e creatura. »

L'esponente  della dottrina tradizionale, invece, sostenne che il Figlio era della  stessa sostanza (consustanziale) e coeterno con il Padre. Al termine del  dibattito Alessandro lodò le parti che erano intervenute e si pronunciò  a favore dell'ultima tesi, imponendo ad Ario di abbandonare da quel  momento il suo insegnamento. Ario rifiutò e Alessandro, seguendo le  norme canoniche del tempo, non poté far altro che espellerlo dalla  comunità, insieme a coloro che lo avevano appoggiato.

Ario non si  dette per vinto e, sapendo che molti specie ad Antiochia la pensavano  come lui, informò dell'accaduto il potente vescovo Eusebio di Nicomedia.  In questo modo una questione che poteva essere risolta nell'ambito  della comunità alessandrina fu resa pubblica e, di fatto, di difficile  gestione.

Questa mossa di Ario obbligò Alessandro a convocare un  sinodo in Egitto nel 319, che ufficialmente espulse Ario con i suoi  fautori dalla Chiesa, e a dare pubblicità alla sentenza, inviando la  documentazione a tutti i vescovi dell'Impero.

Eusebio di  Nicomedia, a sua volta, convocò un sinodo in Bitinia, che si pronunciò a  favore della reintegrazione di Ario nella Chiesa. Ario, di par suo,  sostenne di seguire la dottrina dello stesso Alessandro, per il quale «  il Padre è eterno, lui solo senza principio, mentre il Figlio è una vera  e propria creatura di Dio, non coesistente al Padre, dato che il Padre  esisteva prima del Figlio. »

Quando ormai la questione aveva  superato i limiti della decenza, apparve sulla scena Costantino che,  sebbene in un primo tempo non avesse compreso (e non era la prima  volta!) l'esatta portata della disputa, in un secondo tempo, consigliato  da Ossio di Cordoba, decise di convocare un concilio a Nicea per il  maggio del 325.

Il Concilio di Nicea

Il  Concilio di Nicea (325) in un'icona ortodossa già mezzo secolo prima di  Ario, come abbiamo visto più sopra, il problema del rapporto fra Padre e  Figlio era stato lungamente discusso; già allora si era capito che un  ruolo fondamentale per una corretta comprensione del problema era  rivestito dal linguaggio e dalla terminologia che si doveva adottare.  Nel 280 il vescovo antiocheno Paolo di Samosata dichiarò che  l'espressione biblica "Figlio di Dio" indicava soltanto l'uomo Gesù,  nato da Maria Vergine, in cui il Logos era andato ad abitare. Per  salvare l'unità di Dio, Paolo non aveva riconosciuto al Logos una  propria "ipostasi" vale a dire una propria individualità personale,  bensì lo aveva fatto esistere in Dio "come ragione umana nel cuore  umano".

Nel 288 nel corso dei lavori di un sinodo antiocheno si  discusse sul termine "homoousios" (consustanziale) e sulla cattiva  interpretazione datane da Paolo di Samosata. In questa sede, tuttavia,  non si arrivò a dare una nuova determinazione al termine, e si decise  prudentemente di accantonarlo.

Con questi precedenti iniziò,  dunque, il Concilio di Nicea in cui si dettero battaglia i due  schieramenti, ariani-antiocheni contro cattolici-alessandrini.

Dopo  varie vicissitudini apparve chiaro che gli ariani non avevano alcuna  possibilità di essere riconosciuti. I lavori si chiusero con la  redazione di un riassunto della fede cattolica, in modo da evitare, per  sempre, i rischi dell'eresia. Eusebio di Cesarea propose al Concilio  l'adozione del simbolo battesimale in uso nel proprio vescovado, e a  tutti parve ortodosso, ma si deliberò di apportarvi alcune modifiche.

Sollevò  molte discussioni il termine "homoousios", che alla fine fu  riconosciuto legittimo. Ario fu scomunicato e tutti i suoi seguaci  sottoscrissero le conclusioni del Concilio. Gli atti di questo concilio  sono giunti fino a noi e riportano le firme di ottanta vescovi; la prima  fra queste è quella di Ossio di Cordoba, probabilmente legato del Papa  al concilio, e in ogni caso consigliere particolare di Costantino.

Pochi  mesi dopo la conclusione del concilio, due vescovi, Eusebio di  Nicomedia e Teognide di Nicea, comunicarono all'imperatore il ritiro  della loro adesione al simbolo dì Nicea; Costantino li esiliò  immediatamente in Gallia.

All'inizio del 328, però, l'imperatore  mutò condotta nei confronti dei rappresentati dei due schieramenti. I  vescovi esiliati furono richiamati presso le loro sedi ed Eusebio di  Nicomedia venne anche nominato consigliere dell'Imperatore in luogo di  Ossio di Cordoba.

Probabilmente questo cambiamento è da  attribuirsi a questioni familiari: alcune parenti di Costantino,  infatti, furono molto vicine alle posizioni ariane. Ario fu invitato a  corte e, dopo averlo lungamente ascoltato, l'Imperatore decise che le  accuse portategli erano infondate e dettate solo da gelosia e  incompetenza, perciò lo rinviò ad un successivo sinodo che avrebbe  dovuto liberarlo dalla scomunica. Ario, però, morì poco prima della sua  celebrazione, seguito l'anno successivo da Costantino.

Nel corso  dei successivi decenni ariani e cattolici si fronteggiarono in modo  sempre più spietato; a seconda della dottrina che prevaleva, i vescovi  della parte avversa erano costretti all'esilio; tipico fu il caso di  Atanasio di Alessandria, che andò e tornò dall'esilio per ben cinque  volte!

Con il passare degli anni, però, si modificarono anche le  forze in campo; mentre il gruppo cattolico rimase unito sotto l'autorità  del vescovo di Roma, il fronte ariano iniziò a frantumarsi in molti  partiti, e questo finì per indebolirlo irrimediabilmente. Nel 356, ad  esempio, Aezio, maestro di dialettica e diacono ad Antiochia, riprese da  capo la questione sollevata da Ario, il rapporto fra il Padre e il  Figlio, e propose la soluzione più radicale. Secondo lui « il Figlio non  è né della stessa natura, né della stessa sostanza del Padre, né è in  generale simile a Lui. » Propose la formula dell'anòmoios; per questo il  suo partito fu detto degli "anomei", ala più estremista del partito  ariano che riconosceva in Cristo un semplice uomo.

Basilio di Cesarea †

Nato  intorno al 330 a Cesarea in Cappadocia, studiò retorica ad Atene. Nel  364 venne ordinato sacerdote e sostituì Eusebio dopo la sua morte.  Grande e lucido pensatore, fu soprannominato "il Grande". Collaborò con  Atanasio di Alessandria e con Roma in occasione dello scisma di  Antiochia, fu autore di molte opere fra le quali spiccano le due  "Regole" monastiche. Morì il 1 gennaio 379. E’ certamente uno dei  massimi padri postniceni.

Non ebbero, in ogni modo, molta fortuna  né in oriente né in occidente, anche perché pochi anni dopo, in  occasione della Pasqua del 358, Basilio di Ancira, uomo di ottima  preparazione teologica, invitò nella sua città alcuni vescovi e pubblicò  a loro nome un documento che, se da un lato rifiutava la teologia  anomea, da un altro sostituiva il termine niceno "homoousios" con il  termine "homoiousios". Il Figlio, cioè, era considerato simile al Padre  nella sostanza.

In questa lunga disputa si riuscì a mettere un  po' d'ordine grazie al movimento dei neoniceni guidato da Basilio di  Cesarea. Il compito che intrapresero fu quello di chiarire la  terminologia. Da questo momento con il termine "ousia" si intese la  sostanza di Dio; con il termine "hipostasis" l'esistenza individuale in  cui la sostanza si manifesta (in particolare Padre, Figlio e Spirito  Santo).

"Μία ουςία τρεις ύποςτάςεις" sarà la conclusione elaborata da questi teologi.

L'arianesimo  sopravvisse per alcuni secoli, in particolare grazie ai Goti guidati  dal vescovo Ulfila; a mano a mano, però, che queste popolazioni,  spostandosi verso occidente, vennero a contatto con i vescovi della  Gallia, si convertirono al simbolo niceno; gli ultimi a cedere furono  gli Ostrogoti e i Visigoti intorno al VI secolo.
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