Gesù è davvero esistito? Prove storiche
Questioni Storiche
Prove storiche sull'esistenza di Gesù e dei primissimi cristiani
da WikipediaNella parte bassa di questa pagina trovate due interessanti video sull'argomento
Giuseppe Flavio, "Antichità giudaiche"
Edizione del 1552 di "Antichità Giudaiche"
Riferimenti a Gesù sono presenti in alcuni passi delle Antichità giudaiche, un'opera scritta dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (c.37 - c.100) nel 93 e dedicata alla storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66. Nel testo tramandato ci sono tre riferimenti a Gesù e ai cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di Giacomo il Giusto, che Flavio Giuseppe qualifica come «fratello di Gesù chiamato il Cristo» (XX, 200); il terzo, il più noto, è conosciuto come Testimonium Flavianum (XVIII, 63-64).
In particolare il secondo brano recita:
« Così (il sommo sacerdote Anano) convocò i giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo, e certi altri, con l'accusa di avere trasgredito la Legge, e li consegnò perché fossero lapidati. »
(Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XX, 200)
Il testo, che contiene alcune informazioni sintetiche su Gesù (il nome, il titolo con cui era conosciuto, il nome e la sorte di un suo fratello), si presenta come genuino e non pone particolari problemi agli storici. Più complessa è invece la valutazione del terzo brano, noto appunto come Testimonium Flavianum, che afferma:
« Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, e attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. »
(Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 63-64. In corsivo i principali passi che potrebbero essere stati aggiunti successivamente al testo originale)
Su questo terzo passo, il Testimonium Flavianum, il giudizio degli studiosi è da tempo molto vario[2]. Molti studiosi ritengono che il testo sia stato rielaborato da copisti medioevali inserendo alcune note, in particolare sulla natura divina di Gesù e sulla sua risurrezione, in modo da allineare il contenuto con l'insegnamento della Chiesa[3]. Alcuni studiosi lo ritengono comunque integralmente autentico[4] o al contrario interamente oggetto di interpolazione[5]. Nei primi anni settanta però, grazie agli studi del filologo ebreo Shlomo Pines, professore all'Università di Gerusalemme, è stata trovata la forma originaria del Testimonium Flavianum, una forma diversa, contestualizzata all'interno della "Storia Universale " di Agapio di Ierapoli, un vescovo e storico di lingua araba vissuto nel X secolo:
« Egli afferma nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: «In questo tempo viveva un uomo saggio che si chiamava Gesù, e la sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò a essere crocifisso e morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealtà per lui. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e che egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che egli fosse il Messia, di cui i Profeti avevano raccontato le meraviglie». »
(Traduzione di Shlomo Pines, citata da J.D. Crossan.)
Tale citazione del Testimonium, non edulcorata e non interpolata, evidenzia come Giuseppe Flavio, senza entrare nel merito della divinità di Gesù, ne parli come personaggio storico realmente esistito[6]
Il Talmud di Babilonia(Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XX, 200)
Il testo, che contiene alcune informazioni sintetiche su Gesù (il nome, il titolo con cui era conosciuto, il nome e la sorte di un suo fratello), si presenta come genuino e non pone particolari problemi agli storici. Più complessa è invece la valutazione del terzo brano, noto appunto come Testimonium Flavianum, che afferma:
« Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, e attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. »
(Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 63-64. In corsivo i principali passi che potrebbero essere stati aggiunti successivamente al testo originale)
Su questo terzo passo, il Testimonium Flavianum, il giudizio degli studiosi è da tempo molto vario[2]. Molti studiosi ritengono che il testo sia stato rielaborato da copisti medioevali inserendo alcune note, in particolare sulla natura divina di Gesù e sulla sua risurrezione, in modo da allineare il contenuto con l'insegnamento della Chiesa[3]. Alcuni studiosi lo ritengono comunque integralmente autentico[4] o al contrario interamente oggetto di interpolazione[5]. Nei primi anni settanta però, grazie agli studi del filologo ebreo Shlomo Pines, professore all'Università di Gerusalemme, è stata trovata la forma originaria del Testimonium Flavianum, una forma diversa, contestualizzata all'interno della "Storia Universale " di Agapio di Ierapoli, un vescovo e storico di lingua araba vissuto nel X secolo:
« Egli afferma nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: «In questo tempo viveva un uomo saggio che si chiamava Gesù, e la sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò a essere crocifisso e morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealtà per lui. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e che egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che egli fosse il Messia, di cui i Profeti avevano raccontato le meraviglie». »
(Traduzione di Shlomo Pines, citata da J.D. Crossan.)
Tale citazione del Testimonium, non edulcorata e non interpolata, evidenzia come Giuseppe Flavio, senza entrare nel merito della divinità di Gesù, ne parli come personaggio storico realmente esistito[6]
Moderni volumi del Talmud di Babilonia
Il Talmud di Babilonia, testo ebraico che raccoglie tradizioni molto antiche e messo per iscritto nel V-VI secolo, contiene un riferimento a Gesù, nel quale si dice che egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua perché "praticava la stregoneria". Questo sembrerebbe confermare che Gesù abbia compiuto dei prodigi, che i suoi avversari attribuivano all'opera del demonio.
Esistono peraltro scarsissimi documenti storici relativi all'era del Secondo Tempio: a parte i lavori di Giuseppe Flavio, il più antico testo del periodo, è da ricordare la Mishnah, che è comunque più un codice di leggi piuttosto che un registro di procedimenti giudiziari o un testo di storia generale.
Dai documenti giudaici del periodo, sia orali che scritti, venne compilato il Talmud, una collezione di dibattiti legali e di aneddoti che riempiono trenta volumi. In essi non vi è menzionato mai il nome Gesù (ebraico Yehoshuah): il riferimento più vicino è il nome Yeshu presente nel Talmud di Babilonia e riferito ad uno o più individui, oltre a designazioni inderette e tramite epiteti[7].
La descrizione di Yeshu non corrisponde comunque a quella cristiana di Gesù; inoltre si pensa che la parola sia piuttosto un acronimo di yemach shemo vezichro ("sia cancellato il suo nome e la sua memoria") che indica chi cerca di convertire i Giudei dal Giudaismo. Per giunta, il termine non compare nella versione di Gerusalemme del testo, che ci si aspetterebbe menzionasse Gesù maggiormente rispetto alla versione di Babilonia.
Occorre comunque tener conto che l'esiguità dei riferimenti a Gesù negli scritti talmudici potrebbe semplicemente essere dovuto al fatto che il Cristianesimo fosse ancora una realtà di minore importanza ai tempi in cui la maggior parte del Talmud è stato redatto, unito al fatto che il testo è stato concepito più per insegnare la legge che come manuale storico.
Le Diciotto Benedizioni
In una delle redazioni pervenute delle "Diciotto Benedizioni", testo liturgico ebraico, compare un riferimento ai cristiani (o "nazareni")
« Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nôserîm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti »
La preghiera, chiamata Birkat Ha Minim, risale alla fine del I secolo(85-100, anche se si ritiene ci siano redazioni antecedenti[8]), ma non è chiaro quando sia esattamente stato inserito il riferimento ai cristiani, visto che le altre redazioni del testo menzionano solo "gli eretici" [9]; si ritiene comunque che fu un rabbi di poco successivo a Samuele il piccolo a redigere la versione che citava i cristiani, infatti già Giustino[10](oltre a Girolamo[11] e Epifanio[12]) parla di preghiere ebraiche contro i cristiani, si pensa che la forma più arcaica della preghiera in questo senso sia quella ritrovata al Cairo[13] nel 1898 dove a fianco al termine Minim(eretici) si trova anche il termine Notserim(Nazareni: intendendo i giudeo-cristiani)
L'avvertimento riportato da Giustino di Nablus
Il filosofo cristiano Giustino di Nablus (100-162/168), nel Dialogo col giudeo Trifone, riporta un avvertimento che sarebbe stato inviato dagli ebrei della Terra d'Israele a quelli della diaspora.[14]
« È sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo »
(Trifone, CVIII, 2)
In assenza di altre conferme documentarie non è possibile sapere se questo avvertimento sia mai stato dato per davvero o se esso, invece, fosse un artificio letterario con il quale Giustino fornisce la sua versione sull'opinione dei giudei del suo tempo a proposito di Cristo e dei cristiani.
TESTI DI ORIGINE ROMANA
Tallo
Sesto Giulio Africano (160/170 – 240) riporta un passo dello storico romano (per altri greco) Tallo del I secolo (si ritiene del 52 se identificato con Tallo il Samaritano di Giuseppe Flavio[15]) è il primo che afferma la realtà della crocifissione di Gesù:
« Tallo, nel terzo libro della sua Storia, definisce questa oscurità un'eclisse solare. Questo mi sembra inaccettabile. »
(Ed. K. Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Paris, 1841-1870, vol. III, 517-519, frammento 8)
Anche Flegonte di Tralles (circa 100-150), ripreso da Eusebio di Cesarea, riporta lo stesso passo affermando che l'episodio avvenne al quarto anno dell'olimpiade 202 (32-33) e durò 3 ore dall'ora sesta alla nona[16]
Corrispondenza tra Plinio il Giovane e l'imperatore Traiano
Circa nel 112, in una lettera[17] tra l'imperatore Traiano e il governatore delle province del Ponto e della Bitinia Plinio il Giovane, viene fatto un riferimento ai cristiani. Plinio chiede all'imperatore come comportarsi verso i cristiani che rifiutano di adorare l'imperatore e pregano "Cristo" come dio.
« I Cristiani... Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser soliti riunirsi prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. »
(Plinio il giovane a Traiano imperatore, Lettere 10.96 – 97)
Il testo si limita a indicare Cristo come persona (venerata quasi deo), ma non fornisce ulteriori informazioni dirette su Gesù: Charles Guignebert ha quindi evidenziato come questo breve passaggio non fornisca, da solo, elementi utili a definire i contorni della sua figura storica[18][19]. La lettera documenta piuttosto la diffusione delle prime comunità cristiane e l'atteggiamento dell'amministrazione romana nei loro confronti[20]. Nella sua risposta a Plinio, che li considera colpevoli di una deplorevole superstitio[21], Traiano dispone che i Cristiani non debbano essere ricercati dalle autorità, ma possano essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.
Svetonio in "Vita dei dodici Cesari"
Lo storico Svetonio (70-122), nella sua opera dedicata alle Vite dei dodici Cesari (112), scrive di "giudei, che, istigati da Cresto (sic) durante il regno di Claudio avevano provocato dei tumulti", e che perciò l'imperatore aveva espulsi da Roma. Questo passo, comunque, testimonia la presenza di cristiani a Roma in epoca molto antica (Claudio morì nel 54)[22], anche se l'utilizzo del termine cristiani per indicare i seguaci di Gesù a Roma è probabilmente più tardo[23].
(LA)
« Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit »
(IT)
« Dato che i Giudei, istigati da Cresto, provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma. »
(Gaio Svetonio, Vite dei dodici cesari)
Chrestus viene generalmente interpretato come una distorsione del nome Christus (Cristo) e quindi come un riferimento a Gesù[24]. Il termine Chrestus appare infatti anche in testi successivi riferito a Gesù: un errore di scrittura è quindi plausibile, anche perché forse le due parole in greco antico venivano pronunciate in modo identico, il che può aver influito nella redazione del testo. Del resto a quel tempo i termini crestiani e cristiani venivano usati comunemente e con lo stesso significato, così come documentato, ad esempio, da Tertulliano[25].
Secondo alcuni studiosi la scelta delle parole nel passo di Svetonio sembra però implicare la presenza di "Chrestus" a Roma nell'anno 54 dopo Cristo: in questo caso l'identificazione con Gesù sarebbe molto improbabile. Chrestus era inoltre un nome comune tra gli schiavi a Roma, significava buono o utile, ed il passo tratta di una rivolta di schiavi. L'interpretazione del passo è quindi, nel complesso, controversa. In realtà il passo parla di giudei e non di schiavi. Per i pagani, a quel tempo, non era affatto facile distinguere tra ebrei e seguaci di Gesù, che infatti venivano spesso confusi con gli ebrei anche per il fatto che la prima predicazione apostolica si svolgeva all'interno delle sinagoghe. Sicché è molto probabile che i tumulti cui si riferisce Svetonio siano stati causati dall'opposizione sinagogale alla predicazione apostolica di Paolo e Pietro e dei loro primi discepoli. [26][27].
Oltre al passo citato, Svetonio nelle sue opere fa inoltre un riferimento ai cristiani nella sua Vita di Nerone:
« sottopose a supplizio i Cristiani, razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica »
Cornelio Tacito negli "Annales"
Il nome di Cristo viene citato dallo storico latino Tacito (56-123) nel quindicesimo libro degli Annali, quando narra della persecuzione dei cristiani ad opera di Nerone: egli afferma che i cristiani avevano avuto origine da Cristo, il quale era stato condannato a morte sotto Ponzio Pilato[28].
Tacito scrive due paragrafi che menzionano Cristo e i Cristiani nel 116. Il primo afferma che alcuni cristiani erano presenti a Roma al tempo dell'imperatore Nerone (dal 54 al 68) e che egli, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64 li incolpò:
« subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Chrestianos appellabat. »
« ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissìmi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani. » (Annales, XV, 44)
Il secondo che la fede cristiana si era diffusa a Roma e in Giudea e che 'Cristo' fu messo a morte dal 'procuratore Ponzio Pilato'.
« Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. »
« L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose »
(Annales, XV, 44)
Il passo è comunemente riconosciuto come autentico dagli studiosi[29]. La descrizione del cristianesimo è infatti proposta in chiave decisamente negativa, bollata come "pericolosa superstizione" e "primitiva e immorale", cosicché è improbabile che il testo sia un'interpolazione cristiana.
L'uso del termine 'Cristo' - traduzione dal greco della parola ebraica "Messia" - è da Tacito collegato al nome della nuova religione[29][30] Sull'attribuzione a Ponzio Pilato della carica di procuratore (e non di prefetto, come appare invece nei Vangeli e in evidenze archeologiche), sono state proposte diverse ipotesi: dalla scelta di utilizzare i termini in uso al tempo in cui Tacito scrisse, alla possibile traduzione di un termine greco[31].
Alcuni studiosi ritengono che Tacito si basi su fonti cristiane, mentre altri, tra cui Karl Adam, ritengono che Tacito, come nemico dei cristiani e storico, abbia investigato sull'esecuzione di Gesù prima di riportarne la notizia. Una minoranza di studiosi ipotizza che il passo sia stato falsificato.
Dione Cassio
Dione Cassio (155-dopo il 229) storico e senatore pagano cita i cristiani nella sua Storia romana:
« Tutti adunque convengono nel dire che Antonino fu uomo giusto e dabbene; perciocché nè gli altri sudditi aggravò, nè i Cristiani, ai quali grande rispetto e venerazione usò, e l'onore accrebbe col quale erano stati trattati da Adriano. Perciocché da Eusebio Panfìlio nella istoria si riferisce certa epistola di Adriano, nella quale gravemente sdegnato si mostra con coloro che i Cristiani molestavano o denunziavano,... »
(Cassio Dione, Storia romana[32], 70, 3)
Tertulliano e il senatoconsulto del 35
Tertulliano (150-220) fa cenno nell'Apologetico al fatto che l'imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato romano di riconoscere Gesù come dio (i romani spesso incorporavano nel loro pantheon le divinità dei popoli da loro sottomessi). La proposta fu respinta il che, secondo l'autore, costituì la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani, seguaci di un "culto illecito". Un frammento porfiriano (fr. 64 von Harnack[33], Marcario di Magnesia, IV secolo, riporta informazioni dall'opera di Porfirio Contro i cristiani):
« ...(Gesù) non apparve a molti uomini contemporanei e degni di fede, e soprattutto al senato e al popolo di Roma onde essi, stupiti dei suoi prodigi, non potessero, per comune consenso, emettere sentenza di morte, sotto accusa di empietà contro coloro che erano obbedienti a Lui.[...] »
(Marcario di Magnesia, Apocritico[34], II,14)
e fonti orientali[35] confermano la notizia di Tertulliano:
« Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente. Il senato, poiché quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò. Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani. »
(Tertulliano, Apologetico[36], V,2)
ed Eusebio di Cesarea[37] sul senatoconsulto del tempo di Tiberio (35) che, rifiutando la proposta dell'imperatore di riconoscere il Cristianesimo, faceva di questa religione una superstitio illicita, i cui seguaci potevano essere messi a morte come tali. Non tutti gli storici sono concordi nel ritenere attendibile la notizia poiché potrebbe essere stata sia inventata dallo stesso Tertulliano (spesso acceso nel sostenere le proprie tesi, ma con l'attenuante di scrivere oltre 160 anni dopo i presunti fatti, a Cartagine e in un periodo di persecuzioni), sia alterata successivamente. Secondo invece lo storico ebreo Edoardo Volterra, Tertulliano appunto perché cristiano in anni di persecuzioni, non aveva alcun interesse a inventare l'esistenza di un senatoconsulto che aveva dichiarato il cristianesimo una superstitio illicita. Anzi, aveva l'interesse opposto. Proprio l'esistenza di quel senatoconsulto infatti rendeva legali le persecuzioni contro i cristiani.
Gli scritti dell'imperatore Adriano
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica, riporta la risposta dell'imperatore Adriano al proconsole della provincia d'Asia Quinto Licinio Silvano Graniano che in una lettera aveva richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani che fossero stati oggetto di delazioni anonime o accuse[38].
« Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo »
(Eusebio, Hist. Eccl., IV.9, 2-3)
La risposta era indirizzata a Gaio Minucio Fundano, nuovo proconsole d'Asia, che fu in carica dal 122 al 123.
Esiste anche una lettera di Adriano al console Lucio Giulio Urso Serviano del 133 riportata nella Historia Augusta (la cui autenticità è in discussione tutt'oggi poiché l'opera presenta delle incongruenze[39]) di Flavio Vopisco (IV secolo):
« Adriano Augusto saluta il console Serviano. Quell'Egitto che tu lodavi, Serviano carissimo, a me ha dato l'impressione di una terra di gente leggera, indecisa e pronta a mutar partito a ogni occasione.Laggiù gli adoratori di Serapide sono cristiani, e quelli che si dicono vescovi di Cristo sono devoti di Serapide. Non c'è capo di sinagoga giudea, samaritano o sacerdote cristiano che non sia anche astrologo, aruspice o praticone. Lo stesso patriarca, testé arrivato in Egitto, per accontentare tutti è costretto ad adorare ora Serapide, ora Cristo. Si tratta di gente incostante, insolente e irrequieta, anche se vive in ambiente opulento, ricco e produttivo. [...]L'unico loro dio però è il danaro: lo venerano un po' tutti dai Cristiani ai Giudei... »
(Flavio Vopisco, Historia Augusta, Vita di Saturnino VIII)
L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso"
Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, in un'opera intitolata "A se stesso" riporta un accenno ai cristiani[40].
« Oh, come è bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità »
(Ad sem. XI, 3)
Lettera di Publio Lentulo
La lettera di Publio Lentulo è un presunto rapporto di un procuratore romano in Giudea, nel quale egli riferirebbe a Tiberio di Gesù, descrivendone anche l'aspetto fisico. Tutti gli storici concordano però che si tratti di un falso di epoca molto posteriore; Publio Lentulo, a quanto si sa, non è mai esistito.
Orazione di Frontone
Minucio Felice, nel suo Octavius (II secolo), cita un'Orazione contro i Cristiani di Marco Cornelio Frontone[41], definendo quest'ultimo "non un teste diretto che arrechi la sua testimonianza, ma solo un declamatore che volle scagliare un'ingiuria"[42], a causa delle sue accuse infamanti verso i cristiani. L'invettiva, che aveva l'obiettivo di aizzare la popolazione contro i seguaci della nuova religione, va infatti probabilmente inserita nel quadro delle persecuzioni contro i cristiani condotte sotto il regno di Marco Aurelio (161-180)[43]. Risalgono a quel periodo, in particolare, gli episodi di violenza popolare contro i cristiani di Smirne, Vienne (Vienna) e Lugdunum (Lione)[44]. L'orazione può essere ricostruita, a grandi linee, in base alle citazioni[45].
(LA)
« Qui de ultima faece collectis imperitioribus et mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! [...] Occultis se notis et insignibus noscunt et amant mutuo paene antequam noverint: passim etiam inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. Ita eorum vana et demens superstitio sceleribus gloriatur. Nec de ipsis, nisi subsisteret veritas, maxime nefaria et honore praefanda sagax fama loqueretur. Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari: digna et nata religio talibus moribus! Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia et quasi parentis sui adorare naturam: nescio an falsa, certe occultis ac nocturnis sacris adposita suspicio! Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. Iam de initiandis tirunculis fabula tam detestanda quam nota est. Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur. Is infans a tirunculo farris superficie quasi ad innoxios ictus provocato caecis occultisque vulneribus occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia, hac conscientia sceleris ad silentium mutuum pignerantur. Haec sacra sacrilegiis omnibus taetriora. Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio. Ad epulas sollemni die coeunt cum omnibus liberis, sororibus, matribus, sexus omnis homines et omnis aetatis. Illic post multas epulas, ubi convivium caluit et incestae libidinis ebriatis fervor exarsit, canis qui candelabro nexus est, iactu offulae ultra spatium lineae, qua vinctus est, ad impetum et saltum provocatur. Sic everso et extincto conscio lumine inpudentibus tenebris nexus infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum »
TRADUZIONE (IT)
« Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne, sacri digiuni o banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scellerataggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Si riconoscono con contrassegni e segnali e si amano vicendevolmente quasi prima di essersi conosciuti: regna infatti tra loro una specie di religiosità di sfrenatezze, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. Così la loro vana e stolta superstizione si vanta dei delitti. Riguardo a loro, se non ci fosse un fondo di verità, non circolerebbe una penetrante diceria così tremenda, della cui ci si debba scusare prima di parlarne. Sento dire che venerano la testa consacrata di una bestia sconcia, un asino, non saprei per quale convincimento: religione degna e nata con comportamenti del genere! Altri raccontano che essi venerano e adorano i genitali dello stesso celebrante e sacerdote, quasi ad adorare la natura di chi li ha generati: non so se il sospetto è falso, ma di certo si sostiene sul carattere dei loro riti occulti e notturni! E chi ci dice che il loro culto riguarda un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e i lugubri legni della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, ascrive a quei corrotti e scellerati gli altari che più ad essi convengono, perché adorino ciò che si meritano. Quanto alla iniziazione dei novizi, la diceria è tanto esecrabile quanto risaputa. Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli incauti, viene posto innanzi a colui che dev'essere introdotto ai riti. Invitato questi a infliggere colpi come se fossero inoffensivi, il bambino viene ucciso dal novizio con ferite inferte alla cieca e senza consapevolezza, visto che in superficie c'è la farina. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e su questa vittima stringono un patto, si impegnano reciprocamente al silenzio a motivo della complicità in
quel delitto. Questi i loro riti, più funesti di tutti i sacrilegi. Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente un'orazione del nostro retore di Cirta. Si riuniscono a banchetto in un giorno solenne con tutti i figli, le sorelle, le madri, persone di ogni sesso e di ogni età. Là, dopo un lauto banchetto, quando i convitati si sono riscaldati e, tra i fumi del vino, la febbre di una libidine incestuosa li brucia, un cane che è legato a un candelabro viene aizzato grazie al lancio di una focaccia, perché si lanci e faccia un balzo al di là del limite consentitogli. Così, una volta estinto il lume che rendeva tutto consapevole, essi stringono gli amplessi di una nefasta cupidigia nelle tenebre che ignorano il pudore, affidandosi alla sorte, tutti incestuosi, se non nelle azioni, almeno nella coscienza, poiché nel desiderio tutti mirano a quello che può accadere ad alcuni »
Epitteto in "Dissertazioni" di Arriano
In "Dissertazioni" del filosofo stoico Arriano (95 circa – 175 ca) è riportato uno degli insegnamenti del suo maestro Epitteto, che parlando della morte, indica i "galilei" (intendendo probabilmente i cristiani) come persone che non ne hanno paura[47].
« Anche per follia uno può resistere a quelle cose (atti compiuti dai tiranni, ndr.), o per ostinazione, come i Galilei »
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)quel delitto. Questi i loro riti, più funesti di tutti i sacrilegi. Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente un'orazione del nostro retore di Cirta. Si riuniscono a banchetto in un giorno solenne con tutti i figli, le sorelle, le madri, persone di ogni sesso e di ogni età. Là, dopo un lauto banchetto, quando i convitati si sono riscaldati e, tra i fumi del vino, la febbre di una libidine incestuosa li brucia, un cane che è legato a un candelabro viene aizzato grazie al lancio di una focaccia, perché si lanci e faccia un balzo al di là del limite consentitogli. Così, una volta estinto il lume che rendeva tutto consapevole, essi stringono gli amplessi di una nefasta cupidigia nelle tenebre che ignorano il pudore, affidandosi alla sorte, tutti incestuosi, se non nelle azioni, almeno nella coscienza, poiché nel desiderio tutti mirano a quello che può accadere ad alcuni »
Luciano di Samosata
Luciano di Samosata (120 circa – 186 ca) riporta il suicidio di Peregrino Proteo facendo vari accenni ai cristiani ed al loro "primo legislatore"[51].
« Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d'occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l'uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione.
[...] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l'eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi »
Celso in "Discorso Veritiero"
Il filosofo Celso, nel II secolo, polemizza contro i cristiani nella sua opera "Discorso Veritiero" (Alethès lógos). Questo scritto ci è pervenuto attraverso il "Contra Celsum" di Origene, in cui l'autore riporta molti passi per confutarli[52].
In alcuni dei passi tratta direttamente di Gesù, ad esempio:
« Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse »
(Alethès lógos, I, 28)
« Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste »
(Alethès lógos, I, 62)
« Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate »
(Celso, Contro i Cristiani, traduzione, premessa e note di Rizzo S., Biblioteca Universale Rizzoli, 1989)
Fonti letterarie indirette
Secondo alcuni studiosi è infine possibile trovare un eco della storia di Gesù e delle vicende dei primi cristiani anche in alcune opere letterarie, sia in lingua latina che greca. I riferimenti, per quanto ipotetici e indiretti, testimonierebbero come tali vicende fossero al tempo già sufficientemente note da costituire fonte di ispirazone letteraria.
Il Satyricon di Petronio
Alcuni studiosi[53] hanno ipotizzato, anche se il tema è dibattuto[54], la presenza di possibili riferimenti ai cristiani e al vangelo di Marco nel Satyricon[55] di Petronio Arbitro (27-66).
« “Porta anche dell'unguento e un assaggio da quell'anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” [...] Subito aprì l'ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali »
Questo passo ha delle somiglianze con il vangelo di Marco:
« Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo. [...]"Essa ha fatto ciò ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura." » (Marco 14,3-9)
Un altro passo che potrebbe avere riferimenti evangelici:
« Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l'anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola” »
(Satyricon LXXIV, 1-4)
Il canto del gallo è visto come un segno di sciagura, contrariamente alla tradizione greca e romana in cui il canto del gallo simboleggia la vittoria ma simile all'episodio del tradimento di Pietro descritto in tutti i quattro vangeli canonici (mostra).
E ancora nella cena di Trimalcione, Eumolpo dice:
« ...Nel mio testamento, a tutti quelli in condizione di liberi lascerò i miei beni se mangeranno parti della mia carne davanti a testimoni »
(Satyricon CXLI, 2)
e in realtà tutto l'episodio della cena sembra una parodia dell'Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli.
Anche il racconto della matrona di Efeso può essere significativo:
« Una matrona di Efeso, [...] avendo perso il marito, [...] seguì il defunto persino nel sepolcro. [...] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva [...] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. [...] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. [...] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l'appeso e gli resero l'estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato [...] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. [...] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall'arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell'ingegno dell'avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce »
(Sat. CXI-CXII)
Questi sono solo alcuni dei parallelismi che sono stati riscontrati, in realtà ne vengono messi in luce molti altri. Già nel 1902 il tedesco Patschung aveva notato queste somiglianze, immaginando però che il Vangelo di Marco potesse essere dipendente da Petronio, tesi oggi scartata dagli studiosi[56].
Apuleio e Le metamorfosi
Nell'opera di Apuleio (125-170), Le metamorfosi, c'è questo passo che storici hanno ricondotto ad una moglie cristiana[57].
« Quel mugnaio, che mi aveva fatto sua proprietà pagandomi, un uomo peraltro buono e soprattutto modesto, aveva ottenuto in sorte come moglie una donna pessima, di gran lunga la peggiore di tutte le donne, e sosteneva pene estreme in casa e a letto, al punto che, per Ercole, anche io me ne doglievo in silenzio per lui. Non mancava alcun vizio a quella pessima donna, ma tutte le nefandezze erano confluite nel suo animo come in una melmosa latrina: crudele, funesta, ammaliatrice, ubriacona, ostinata, caparbia, vergognosamente avara nell'arraffare, scialacquatrice nelle spese per le sue porcherie, nemica della fede, avversaria del pudore. In quel tempo, disprezzati e calpestati i divini numi, al posto della religione stabilita fingeva sacrilegamente di credere in un Dio che proclama unico, osservando cerimonie inconsistenti e ingannando tutti gli uomini e il suo misero consorte, dandosi fin dal mattino al vizio e offrendo continuamente il suo corpo alla fornicazione »
(Metam. IX, 14)
Nei romanzi greci antichi: Cherea e Calliroe di Caritone, Abrocome e Anzia di Senofonte Efisio
Il romanzo Cherea e Calliroe scritto nel I secolo (Thiede data il romanzo non dopo il 62 poiché l'opera viene citata dallo stoico Aulo Persio Flacco[58](34-62) da Caritone (I-II secolo) presenta forti rimandi[59] alla storia evangelica di Gesù:
Cherea viene condannato da un governatore non si difende dalle accuse (come Gesù quando viene da Ponzio Pilato)
morte apparente di Calliroe
Cherea viene caricato della croce, e sfidato a scendere dalla croce con stesse espressioni verbali del vangelo
Cherea va alla tomba di Calliroe all'alba con libagioni, si trova la pietra rotolata e smarrimento dei presenti
Cherea fa entrare prima il padre di Calliroe nella tomba (come Giovanni aveva fatto con Pietro)
Cherea proclama la divinizzazione e assunzione in cielo della fanciulla
il riconoscimento finale di Calliroe, tornata in vita, avviene grazie alla voce (come quello di Gesù da parte della Maddalena)[60].
Anche il romanzo Abrocome e Anzia di Senofonte Efesio[61](II-III secolo) troviamo possibili rimandi a episodi evangelici, tra i quali:
la crocifissione di Abrocome
l'invocazione agli dei di Abracome crocifisso.