Samira Testimonianza ex musulmana ora cattolica
Testimonianze conversioni cristiane
Samira, che dall’islam si è convertita al cristianesimo. «Questa è la mia storia, perché altri abbiano coraggio»
luglio 7, 2013 Benedetta FrigerioLa tormentata vicenda di una ragazza marocchina che vive in Italia. La prima Messa, la ribellione e il battesimo. «Se Dio ti chiede una cosa, poi la sistema Lui»
islam croceTrentuno anni, marocchina, due occhi scuri che si bagnano ogni volta che pensa a come «Gesù mi ha toccata, come toccò la Maddalena», a «quanto mi ha aspettata», a come «mi ha voluta sin da piccola, proprio facendomi nascere in una famiglia musulmana». Samira S., emigrata in Italia all’età di sette anni, battezzata la notte di Pasqua del 2010, proprio mentre si parla delle migliaia di occidentali che si convertono all’islam, assicura che «ci sono altri come me che conosco e che saranno sempre di più, anche se ciò non avverrà senza sofferenza». Per questo la ragazza vuole parlare, «per dare coraggio a quanti desiderano diventare cristiani, ma hanno paura delle conseguenze».
IL PRIMO INCONTRO. «Ero la prima bambina straniera nella scuola del mio paese», racconta Samira ricordando il suo arrivo in provincia di Milano. «Il parroco, don Giovanni, mi comprò la cartella e l’astuccio, perché noi non avevamo soldi. Fu lui il primo segno di Cristo nella mia vita». Don Giovanni non le parlava mai della fede, «ma capivo che era diverso dagli altri uomini che conoscevo. Vedevo lui e altri amici entrare in chiesa, perciò desiderai sapere che cosa c’era là dentro». È così che per la prima volta Samira si imbattè in «quell’uomo sulla Croce. Allora mi fece una gran pena, piansi». Poi, vicino al crocifisso, la statua della Madonna, «mi scoprii a casa: come le donne musulmane portava il velo». Don Giovanni vide la ragazzina in chiesa e le propose di partecipare alla Messa. «”Stando in fondo”, precisò. Capiva che avevo paura di essere scoperta. Decisi di andare. Ricordo la sensazione di pace incredibile che mi invadeva durante l’Osanna. Solo dopo seppi che quello è il momento in cui discende lo Spirito Santo sui presenti. Avrei provato la stessa pace durante il battesimo».
LA PROVA TANGIBILE. Poi le cose cambiarono e per Samira iniziò un periodo di ribellione: «A 21 anni mi innamorai di un uomo di 20 anni più grande di me, divorziato e con una figlia. Andai a convivere dando un dispiacere enorme ai miei».
Un anno e mezzo dopo la famiglia si ritrovò intorno alla sorella di Samira che, incinta al senso mese, rischiava di perdere il figlio. Fu lì in una sala d’attesa che, dopo quattordici anni, Samira si ritrovò a parlare con Dio: «Era il 9 giugno del 2005 e Gli dissi: “Lui è innocente, non ha ancora fatto nulla di male. Se tu davvero esisti lo devi aiutare”».
Una sua amica intanto fece pregare un gruppo devoto a padre Pio per la guarigione del piccolo e lo fece sapere alla ragazza. Dopo una settimana il nipote cominciò a respirare da solo, i medici le dissero che sarebbe sopravvissuto con gravi danni al cervello. «Non gli credetti ancora, sapevo che Dio lo avrebbe aiutato. Oggi mio nipote ha otto anni ed è perfettamente sano».
islam croceTrentuno anni, marocchina, due occhi scuri che si bagnano ogni volta che pensa a come «Gesù mi ha toccata, come toccò la Maddalena», a «quanto mi ha aspettata», a come «mi ha voluta sin da piccola, proprio facendomi nascere in una famiglia musulmana». Samira S., emigrata in Italia all’età di sette anni, battezzata la notte di Pasqua del 2010, proprio mentre si parla delle migliaia di occidentali che si convertono all’islam, assicura che «ci sono altri come me che conosco e che saranno sempre di più, anche se ciò non avverrà senza sofferenza». Per questo la ragazza vuole parlare, «per dare coraggio a quanti desiderano diventare cristiani, ma hanno paura delle conseguenze».
IL PRIMO INCONTRO. «Ero la prima bambina straniera nella scuola del mio paese», racconta Samira ricordando il suo arrivo in provincia di Milano. «Il parroco, don Giovanni, mi comprò la cartella e l’astuccio, perché noi non avevamo soldi. Fu lui il primo segno di Cristo nella mia vita». Don Giovanni non le parlava mai della fede, «ma capivo che era diverso dagli altri uomini che conoscevo. Vedevo lui e altri amici entrare in chiesa, perciò desiderai sapere che cosa c’era là dentro». È così che per la prima volta Samira si imbattè in «quell’uomo sulla Croce. Allora mi fece una gran pena, piansi». Poi, vicino al crocifisso, la statua della Madonna, «mi scoprii a casa: come le donne musulmane portava il velo». Don Giovanni vide la ragazzina in chiesa e le propose di partecipare alla Messa. «”Stando in fondo”, precisò. Capiva che avevo paura di essere scoperta. Decisi di andare. Ricordo la sensazione di pace incredibile che mi invadeva durante l’Osanna. Solo dopo seppi che quello è il momento in cui discende lo Spirito Santo sui presenti. Avrei provato la stessa pace durante il battesimo».
LA PROVA TANGIBILE. Poi le cose cambiarono e per Samira iniziò un periodo di ribellione: «A 21 anni mi innamorai di un uomo di 20 anni più grande di me, divorziato e con una figlia. Andai a convivere dando un dispiacere enorme ai miei».
Un anno e mezzo dopo la famiglia si ritrovò intorno alla sorella di Samira che, incinta al senso mese, rischiava di perdere il figlio. Fu lì in una sala d’attesa che, dopo quattordici anni, Samira si ritrovò a parlare con Dio: «Era il 9 giugno del 2005 e Gli dissi: “Lui è innocente, non ha ancora fatto nulla di male. Se tu davvero esisti lo devi aiutare”».
Una sua amica intanto fece pregare un gruppo devoto a padre Pio per la guarigione del piccolo e lo fece sapere alla ragazza. Dopo una settimana il nipote cominciò a respirare da solo, i medici le dissero che sarebbe sopravvissuto con gravi danni al cervello. «Non gli credetti ancora, sapevo che Dio lo avrebbe aiutato. Oggi mio nipote ha otto anni ed è perfettamente sano».
UNA PACE MAI PROVATA. A quel punto la ragazza provò una gratitudine nuova, ma era disorientata. Non sapeva chi ringraziare. Fu allora che le venne in mente di «quel Padre Pio che avevano pregato». Perciò si recò a San Giovanni Rotondo: «Mi spiegarono che lì riceveva un certo fra Modestino, capace di fare come padre Pio. Non capii, ma mi misi in coda. Entrai, rimasi folgorata dai suoi occhi e gli dissi che ero lì per ringraziare, mi rispose che non c’era bisogno. Solo una cosa aggiunse: “Ti devi battezzare”. Ero sconvolta, come poteva sapere?».
In effetti Samira può sembrare un’italiana a chi non la conosce. «Feci il viaggio di ritorno angosciata, perché capivo che si poteva aprire una strada difficile, che solo negli anni ho scoperto bellissima. La paura sarebbe scomparsa facendo la volontà di Dio. Ora so che ti assale solo quando la sfuggi». Prima di partire, Samira partecipò per la prima volta alla recita del rosario, «e provai una pace indescrivibile». Fu così che iniziò a recitarlo tutti i giorni, riavvicinandosi anche alla Messa. «È lì che mi innamorai di Gesù, ascoltando chi era nei Vangeli. Non guardava quello che gli uomini fanno, ma solo il loro cuore… non avevo mai conosciuto un uomo così».
Samira tornò di nuovo a San Giovanni Rotondo. Andò da fra Modestino e gli disse che non si era battezzata, «ma lui rise perché sapeva che prima o poi sarebbe successo». Infatti il 3 aprile del 2010 si battezzò. «Ormai lo desideravo fortemente, dovevo solo prendere coraggio. Lo chiesi alla Madonna e me lo diede, mettendo dentro di me una grande verità: che non si può amare Dio di nascosto». Samira oggi si pente solo di una cosa: «Il giorno del battesimo non c’era la mia famiglia. Non avevo ancora tutto quel coraggio, ma sarebbe venuto poi…».
L’ABBANDONO TOTALE. A settembre dello stesso anno restò incinta. E andò di nuovo a San Giovanni Rotondo a ringraziare. Ma fra Modestino non poté riceverla. Partecipando a una pesca di beneficenza, vinse un ovale argento con la Madonna e Gesù circondati da un nastro azzurro: «Mi dissero di darlo a una donna in attesa. Ero io». «Chiesi a Dio di proteggere mio figlio, ma per la prima volta aggiunsi: “Sia fatta la tua volontà”». Il giorno, al risveglio, si trovò in un lago di sangue: «Persi il bambino e il mio compagno mi lasciò sola tutto il giorno. Pareva quasi contento. Poco dopo mi disse che aveva un’altra donna».
IL SECONDO ADDIO. Ancora una volta, Samira abbandonò Dio: «Smisi di pregare, ero arrabbiata con Lui. Cominciò un periodo di profonda disperazione, mi aiutò solo la mia famiglia». Decise di mettere piede in Chiesa almeno a Pasqua, nell’anniversario del suo battesimo: «Bastò quel riavvicinamento a farmi capire tutto. Durante la Messa compresi che Dio non mi aveva tolto nulla. Realizzai che avevo riavuto la mia bellissima famiglia da cui mi ero allontanata e che mi aveva liberata da un uomo che non mi amava. Poi mi rese certa che la coccarda ricevuta alla pesca non era una presa in giro. Non so quando, ma avrò un figlio con un uomo che Dio ha pronto per me». Samira ha il viso serio mentre parla così. Ed è genuino, come quando si commuove. «Fu la Pasqua successiva a darmi forza. Quando lessero di Pietro che, dopo essersi vergognato di Cristo, riuscì ad annunciarlo a tutti».
Così Samira ha riallacciato i rapporti con la sua famiglia. Come? «I teologi si scervellano su come fare incontrare l’islam e il cristianesimo. Ma basterebbe parlare della Madonna». La madre, il padre e i fratelli hanno reagito tutti in maniera differente, ma Samira è fiduciosa: «Se Dio ti chiede una cosa, poi la sistema Lui».
L’incontro con Comunione e Liberazione, un passaggio al Meeting di Rimini hanno fatto il resto: «Ho visto gente come me, ognuno preso, ognuno con la sua storia, gioie e sofferenze… ho capito che c’è un popolo con cui posso vivere la fede. Scoprirlo è stato come ricevere l’ultimo tassello mancante».
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