Inferno insegnamenti biblici Chiesa catechesi
Catechesi terza parte
Inferno - Insegnameni Biblici cattolici ed errori dei testimoni di Geova
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1 - Il termine Sceol lo si incontra nei libri dell'Antico Testamento. Il suo significato fondamentale è quello di “soggiorno o regno o dimora o regione dei morti”, dove gli Ebrei immaginavano che si radunassero tutti i defunti, buoni e cattivi i Refaim.
“Questa parola (Sceol) designa nell'A.T. la dimora dei morti, concepita come un luogo oscuro (cf. Giobbe 10, 21 ss.) e situato al di sotto dell'oceano (cf. Giobbe 26, 5), che dietro le sue 'porte' (cf. Isaia 38, 10; Giobbe 38, 17) racchiude per sempre (cf. Giobbe 7, 9 ss; 16, 22; Ecclesiaste 12, 5) tutte indistintamente (cf. Salmo 89, 49) le 'ombre' dei trapassati (cf. Isaia 14, 9)”.
Osservazioni:
a) E' dunque fuor di dubbio che gli Ebrei, molto tempo prima di Gesù Cristo, credevano nella sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Lo Sceol non significa “la distruzione completa” dell'uomo, ma “un modo di essere” dopo la morte. L'esistenza dell'uomo continua, anche se in modo diverso.
A conferma sta il fatto che agli Ebrei era severamente proibito non solo di consultare gli spiriti, di praticare cioè lo spiritismo, ma anche di evocare i morti (cfr. Deuteronomio 18, 11). Il comando divino riguardava sia gli spiriti sia i morti. Se esistono gli spiriti, devono esistere anche i morti, altrimenti la duplice proibizione divina non avrebbe senso.
E' perciò errato affermare che le parole dette da Dio ad Adamo: " Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere sei e in polvere tornerai " (Genesi 3, 19) significano che Adamo quando morì “tornò in quello stesso stato di inesistenza in cui si trovava prima della creazione”. La Bibbia non dice questo. Lo dicono i tdG.
b) Con questa chiara dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte non contrastano le parole dell'Ecclesiaste (Qoèlet):
“I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla, non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce (...). Tutto quello che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli ìnferi (Sceol), dove stai per andare” (9, 5.10).
Infatti:
- L'autore di Qoèlet non nega la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Non dice: “stai per andare nel nulla”, ma “stai per andare nello Sceol” ossia nella “regione” delle “ombre”, dei “Refaim”.
- Egli si limita a descrivere la vita dell'aldilà secondo le idee del suo tempo (terzo secolo a.C.): una vita o modo di essere in forte contrasto con quella sulla terra. Senza attività, senza passioni, senza conoscenza. Non è comunque uno stato di inesistenza.- In effetti, lo Sceol era immaginato come la fine delle attività terrene, anche della lode di Jahve (cfr. Salmo 6, 6), la fine della potenza e prepotenza umana, ma non dell'esistenza in modo assoluto. In Ezechiele 32, 17-32 sono passati in rassegna i re e i guerrieri caduti di spada, che giacciono impotenti nello Sceol; tuttavia continuano ad esistere. Isaia presenta gli abitanti dello Sceol in grande agitazione all'arrivo del re di Babilonia (cfr. Isaia 14, 9-20).In Giobbe è detto che “i Refrain tremano sotto terra” (26, 5). Tutto questo non si può conciliare con uno stato di inesistenza, di distruzione completa.
c) Parimenti non è contro la dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte un altro testo di Qoèlet che dice:
“La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna alla polvere. Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello delle bestie scenda in basso?” (3, 19-21).
Infatti:
- Ciò che Qoèlet intende mettere in rilievo è la universalità della morte: ogni essere vivente sulla terra - uomo, bestia e anche pianta - è soggetto alla legge della morte. Da questo punto di vista, la sorte di tutti i viventi è, comune. Tutti sono diretti verso la terra o polvere, che è per tutti la medesima dimora.
- Ma da ciò non segue che dopo la morte vi sia per tutti il medesimo destino. L'autore esprime i suoi dubbi circa il destino dell'uomo a differenza di quello della bestia:
“Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto?”. In seguito affermerà che l'uomo, e solo l'uomo, discende nello Sceol (9, 10). Infine ricorderà che lo spirito torna a Dio che l'ha dato (12, 7) e ammonisce: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male” (12, 13-14).
- E' lecito domandarsi: com'è possibile che l'uomo sia citato in giudizio, se con la morte piomba nel nulla? In uno stato di inesistenza? Notate che Qoèlet non parla di un vago ricordo di Dio, che darebbe ai morti una seconda vita in un futuro regno millenario, come insegnano i tdG. Egli si riferisce al giudizio di Dio sulle azioni dell'uomo alla fine di questa vita.
2 - In secondo luogo Sceol ha il significato di tomba o morte. Andare nello Sceol equivale alcune volte, secondo il contesto, a morire, a scendere nella tomba. Questo secondo significato è logicamente legato al primo, com'è comprensibile.
Cosi, per esempio, David nel suo testamento raccomanda al figlio Salomone di punire con la morte alcuni colpevoli. Dice Davide: “Non permetterai che la sua vecchiaia scenda in pace negli inferi (Sceol)” e “Farai scendere la sua canizie agli ìnferi (Sceol) con morte violenta” (1 Re 2, 6.9). In questo caso e in altri simili Sceol significa morte, o tomba e “scendere agli ìnferi” (Sceol) equivale a “morire”.
La comune tomba del genere umano
.Alla luce di questa dottrina biblica appare evidente quanto sia equivoca la definizione che dello Sceol danno i tdG, quando dicono che lo Sceol “è la comune tomba del genere umano”.
Riflettete:
- Stando alle parole usate dai geovisti la cosa più ovvia sarebbe immaginare lo Sceol come “una immensa fossa o tomba”, dove vanno a finire le ossa di tutte le creature umane. Sono miliardi! Ma non è questo il pensiero dei tdG.
- Si potrebbe anche legittimamente pensare che la frase geovista desse allo Sceol il significato di morte, nel senso che tutti dobbiamo scendere nella tomba, ossia morire, come abbiamo appena spiegato. Ma neppure questo intendono dire i geovisti.
- Scoprendo a poco a poco le carte, i tdG vorrebbero farvi credere che “tomba comune del genere umano” equivalga a “distruzione completa”, al passaggio cioè dalla vita alla non-esistenza. Nulla è più contrario alla Bibbia, come abbiamo già provato e come proveremo ancora meglio appunto con testimonianze bibliche.
- E' vero che i geovisti, nello sforzo di convincervi dell'errore, vi parlano del dopomorte come di uno stato inconscio. Ma poi spiegano (e convincono gli ignoranti) che “stato inconscio” significa “non-esistenza”. A loro avviso, colui che dorme, che è cioè in uno stato inconscio, è senza vita, non-esistente!
Ma chi ha un po' di senno pensa ed obietta: “Non è possibile che il sonno sia uno stato, un modo di essere, migliore della vita attiva? Colui che dorme non è forse libero dalle sofferenze fisiche e morali, che la vita di chi è sveglio necessariamente comporta? Non è forse il sonno un ristoro, un tempo di pace? Sapientemente i discepoli fecero notare a Gesù in una circostanza ben nota: “Signore, se l'amico Lazzaro si è addormentato, guarirà” (Giovanni 11, 12).
3 - Un terzo significato di Sceol connesso coi due precedenti è quello di potenza invincibile, la potenza appunto della morte e della caducità di tutte le cose. E' una potenza diabolica, dopo il peccato (cf. Romani 5, 12). Diceva Giobbe: “Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così lo Sceol (la morte) rapisce il peccatore” (24, 19).
Sotto questo aspetto, Isaia paragona lo Sceol a un mostro, che apre le fauci per divorare, “spalanca senza misura la bocca. Vi precipitano dentro nobiltà e popolo” (5, 14). L'uomo nulla può fare contro questo mostro, ma Jahve ha potere anche sullo Sceol (cf. Osea 13, 14).
4 - Sinonimo di Sceol è, nell'Antico Testamento, la parabola Abaddon, che ha quindi gli stessi significati, secondo il contesto. In Giobbe 26, 6 Abaddon significa “la regione dei morti”, come Sceol che l'accompagna; altrove indica la “morte” (Giobbe 28, 22), altrove “la tomba” (cf. Salmo 88, 12; Proverbi 15, 11).
Abaddon come Sceol non ha mai il significato di “completa distruzione”, bensì quello di rovina o perdizione: distruzione della vita e dei beni presenti, ma non distruzione assoluta, passaggio alla non-esistenza.
Ades
Nel Nuovo Testamento l'ebraico Sceol ha come corrispondente il greco Ades, che come Sceol può avere diversi significati:
1 - Ades anzitutto significa “la dimora o soggiorno o regno dei morti”. Così in Atti 2, 31 dove leggiamo: “Questi (Gesù) non fu abbandonato nell'Ades né la sua carne vide la corruzione”. Qui san Pietro adatta alcune parole del Salmo 16, 8-11 e spiega come Cristo dopo la morte non rimase nella “regione dei morti” (Ades), ma risuscitò senza che ìì suo corpo subisse la corruzione del sepolcro.
Non si tratta evidentemente d'una discesa di Cristo all'inferno propriamente detto, anche se alcune versioni traducono Ades con la parola inferno. Infatti “inferno”, dal latino “infernus”, può avere anche il significato di “soggiorno dei morti”, ossia di Sceol o Ades come spiegheremo dopo.
Tuttavia, a differenza di ciò che credevano gli antichi Ebrei, l'Ades (o Sceol) non custodirà per sempre i suoi morti (cf. Apocalisse 20, 13). Questa è una novità rispetto all'A.T., dovuta al fatto che - come tutti sanno - la Rivelazione, specie circa il destino dell'uomo dopo la morte, è stata fatta progressivamente, e raggiunse il suo culmine nella predicazione del Figlio di Dio.
2 - Un secondo significato di Ades nel N.T. è quello di “potenza o forza ineluttabile o di caducità di tutte le cose”, ossia di “morte”.E' la potenza della morte contro cui l'uomo nulla può fare. San Paolo, per esempio, traduce Osea 13, 14 usando la parola morte, che corrisponde a Sceol in Osea: “La morte (Sceol in Osea) è stata ingoiata per la vittoria” 1 Corinzi 15, 54; cf. Isaia 25, 8). L'Apostolo vuol dire che la morte (Sceol, Ades) è stata vinta da Cristo, autore della vita (cf. Atti 3, 15). Egli, il Risorto, “ha il potere sopra la morte e sopra l'Ades” (Apocalisse 1, 18).
Identico significato in Matteo 16, 18, dove Cristo assicura i suoi discepoli che “le porte dell'Ades non prevarranno contro la sua Chiesa. Egli vuol dire che la potenza distruggitrice della morte o della caducità di tutte le cose non avrà alcun effetto negativo sulla sua Chiesa ancorata su Pietro.
3 - Qualche volta Ades nel N.T. indica lo stato o condizione di pena dei malvagi. Tale è il caso del ricco cattivo che subito dopo la morte va nell'Ades tra i tormenti (cf. Luca 16, 23), mentre Lazzaro, povero e buono, passa in uno stato di gioia.
Abbiamo qui un'altra novità rispetto all'A.T., ossia una migliore conoscenza circa il destino dell'uomo subito dopo la morte. Mentre, infatti, lo Sceol degli antichi Ebrei raccoglieva tutti i morti, buoni e cattivi, nel N.T. i malvagi hanno in sorte la sofferenza, i tormenti, ma ai buoni è riservata la felicità.
Sceol e Ades nelle traduzioni
Le precisazioni che seguono sono necessarie per sventare gli equivoci geovisti, che sono molti e gravi, come apparirà nella Terza Parte.
1 - Sceol. In alcune traduzioni è stata conservata la parola ebraica Sceol, che assume secondo il contesto uno dei significati indicati precedente. ente. In altre Sceol è tradotto con “soggiorno o regione o regno dei morti” oppure “altro mondo”, oppure “tomba”. Più spesso è reso con “ìnferi” e alcune volte con “infernus” e “inferno”. Questi ultimi due termini (infernus, inferno) meritano precisazioni particolari per l'abuso o equivoco che ne fanno i tdG a danno sempre della verità di Dio.
a) Inferno (latino infernus) letteralmente significa “che sta sotto”, “inferiore” (in greco katòteros, cf. Efesini 4, 9). In quanto a concetto, inferno (e infernus) ha subìto una certa evoluzione. In molte religioni antiche “inferno” indicava il luogo o regione sotterranea, dov'erano relegati gli spiriti dei morti e anche gli dèi infernali.
Con questo significato, che corrisponde al primo significato di Sceol, si trova nella Bibbia detta Volgata (infernus) e anche in alcune traduzioni in lingue moderne: inferno in italiano, hell in inglese, Hólle in tedesco ecc. In tutti questi casi, quando cioè inferno o hell o Hólle traduce Sceol, non ha il significato di luogo (meglio stato) di eterno tormento per i malvagi. Inferno assume secondo il contesto uno dei significati di Sceol.
b) Con l'andare del tempo, a cominciare cioè dall'epoca dei profeti, gli Ebrei si posero il problema della diversa sorte dei buoni e dei cattivi dopo la morte (cf. Isaia 14, 9-20; 33, 14; 66, 24; Ezechiele 32, 33; Daniele 12, 2; Giuditta 16, 17; Siracide 7, 17), e assegnarono nella regione dei morti, cioè nello Sceol, un reparto speciale per i cattivi. Il Nuovo Testamento accetta e conferma questa fede (cf. Luca 16, 23).
Per indicare la sorte dei malvagi prevalse l'uso della parola “inferno” (inferno, enfer, hell, Hólle) che perciò venne ad avere due significati quello generico di “soggiorno dei morti” e quello specifico di “stato di pena” per i dannati (ossia di Geenna, cf. infra).
c) Oggi i traduttori della Bibbia preferiscono usare la parola “inferno” col significato specifico di “stato di pena” (Geenna). Ma in alcune traduzioni, specie del passato, inferno conserva il significato generico, ossia di “soggiorno dei morti” o di “pericolo di morte” (cf. Giona 2, 3) o di “potenza distruttiva della vita”. Prestare attenzione!
2 - Ades ha seguito la stessa sorte di Sceol. In alcune traduzioni è conservata la parola greca Ades, che in italiano diventa Ade, in inglese Hades, in francese Hadès. Altre volte Ades è reso con “mondo sotterraneo”, “regno dei morti”, “ìnferi”, “tomba” ecc.
Ma qualche volta è stato tradotto con la parola inferno.Così La Sacra Bibbia a cura dell'Istituto Biblico di Roma rende Atti 2, 31: “Né egli (il Messia) fu abbandonato nell'inferno (Ades)”. Identica traduzione in alcune Bibbie edite dalle Edizioni Paoline (EP). Ma in questi casi la parola “inferno” non indica lo stato di pena dei malvagi come falsamente insinuano i tdG (cf. infra, Terza Parte).
In tutti questi casi, inferno significa “soggiorno dei morti”, oppure “morte”, oppure “tomba”, eccetto in Luca 16, 23, dove inferno (Ades) significa “stato di tormento”.
Geenna
1 - Nell'Antico Testamento Geenna ha due significati: uno letterale e uno simbolico.
a) Letteralmente Geenna vuol dire “valle dei figli di Hinnòn (ge-ben-Hinnòn)”, ed indica una valle a sud di Gerusalemme, che al tempo di alcuni re di Giuda divenne luogo di culti idolatrici. Ivi gli stessi re Achaz (736-721 a.C.) e Manasse (693-639 a.C.) sacrificarono i loro figli al, dio Moloch (cf. 2 Re 16, 3; 21, 6; 2 Cronache 28, 3; Geremia 7, 32).
Contro questi abomini tuonò la voce dei profeti in nome di Jahve: “Hanno costruito l'altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnòn, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai comandato e che non mi è mai venuta in mente” (Geremia 7, 31). Jahve maledisse quella valle e predisse che quel luogo avrebbe indicato punizione e sofferenza:
“Perciò verranno giorni - oracolo di Jahve - nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della strage (...). I cadaveri di questo popolo saranno pasto agli uccelli dell'aria e alle bestie selvatiche e nessuno li scaccerà” (Geremia 7, 32-33).
In effetti, il pio re riformatore Giosia (640-609 a.C.) fece di quella valle un luogo impuro, dove venivano gettati i cadaveri dei giustiziati (cf. 2 Re 23, 10).
b) Sulla base di questi precedenti, la valle di Ben-Hinnòn divenne simbolo della futura punizione dei malvagi. Isaia, riferendosi ai tempi della futura restaurazione, intravede che quella valle offrirà ai veri adoratori lo spettacolo del castigo di Dio contro i ribelli:
“Uscendo (dal tempio), vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me (Jahve); poiché il loro verme non morirà, il fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti” 66, 24; cf. Marco 9, 48).
Questo testo di Isaia fu all'origine di una sempre più chiara designazione del luogo-stato di pena dei peccatori come “Geenna”. Su questa linea infatti continuò la letteratura apocalittica dei Giudei, che fece di quella valle in modo sempre più esplicito il simbolo della sofferenza dei malvagi dopo il giudizio finale (cf. Daniele 12, 2). La parola Geenna passò a indicare l'inferno propriamente detto.
2 - Nel Nuovo Testamento Geenna ha soltanto il significato simbolico di pena eterna dei ribelli dopo l'ultimo giudizio e “non è più localizzata nella valle a sud di Gerusalemme”.
a) I Giudei del tempo di Gesù conoscevano bene ciò che avevano detto Isaia, Geremia e la letteratura apocalittica in rapporto alla valle di Ben-Hinnòn; e quando Gesù parlava di Geenna, di fuoco inestinguibile ecc., non pensavano affatto a quella località a sud di Gerusalemme, ma unicamente a ciò di cui quella valle era divenuta simbolo.
Per farsi ben capire Gesù non solo usava le stesse parole dei profeti (cf. Marco 9, 47-48; Isaia 66, 24), ma precisava che il fuoco eterno della Geenna era stato preparato per il diavolo e i suoi associati (cf. Matteo 25, 41). E' chiaro che tale Geenna non poteva essere la valle a sud di Gerusalemme, dove solo per un tempo ben limitato nella storia furono bruciati i cadaveri dei giustiziati.
b) Nel N.T. la Geenna è sempre connessa con l'immagine del fuoco (cf. Matteo 5, 22; 18, 9; Giacomo 3, 6 ecc.); del fuoco inestinguibile (cf. Matteo 3, 12; Marco 9, 43 ecc.). L'immagine dei fuoco ricorre anche là dove la parola Geenna è sottintesa (cf. Matteo 3,10-12; 7,19; 18, 8-9; 25,41; Luca 3, 9-17).
Nell'Apocalisse l'immagine del fuoco si accompagna con quella dello zolfo e del lago o stagno (cf. Apocalisse 14, 10; 19, 20; 20, 9-15; 21, 8), che non è un'allusione alla valle di Ben-Hinnòn, ma piuttosto all'ambiente del Mar Morto, triste ricordo della punizione divina di Sodoma e Gomorra (cf. Genesi 19, 23-25).
Altre immagini della Geenna sono quelle del verme roditore che non muore (cf. Marco 9, 46 = Isaia 66, 24), della prigione e della tortura (cf. Matteo 5, 29-30), del pianto e dello stridore di denti (cf. Matteo 8, 12; 13, 42-50; 22, 13; 24, 51; 25, 30), delle tenebre (cf. Matteo 8, 10-12; 22, 13; 25, 30; Giovanni 8, 12; 12, 44-46).
c) Altrove la grande verità biblica della Geenna è inculcata con espressioni più concrete e più comprensive come quelle dell'esclusione dal Regno di Dio, che è una comunità di gioia e di pace, di amore e di felicità'.
Qui l'abbiamo voluto solo accennare per indicare che le immagini (fuoco, verme ecc.), proprie del giudaismo ai tempi di Gesù, devono essere prese per quello che sono, ossia come immagini, e non come affermazioni letterali.
Su questa base di indiscussa esegesi biblica appare quanto sia superficiale ed antibiblica l'affermazione dei tdG, secondo cui la Chiesa Cattolica insegnerebbe l'esistenza di un inferno di fuoco letterale, dove i dannati sarebbero arrostiti per tutta l'eternità. E' chiaro che né la Bibbia e tanto meno la Chiesa Cattolica ha mai detto o dice simili idiozia.
SECONDA PARTE
CHE COSA E' L'INFERNO?
Al di là delle immagini
Precisiamo, prima di tutto, che qui alla parola “inferno” diamo il significato di Geenna, usiamo cioè il termine “inferno” nel senso in cui comunemente s'intende, che è quello di “stato o condizione dei ribelli a Dio”.
a) Oltre dunque che con immagini (fuoco, zolfo, stagno di fuoco ecc.), la grande verità del destino definitivo dell'uomo indurito nel rifiuto di Dio ci viene inculcata nella Bibbia con espressioni più concrete, che aprono uno spiraglio per farsi un'idea di che cosa sia la Geenna, cioè l'inferno propriamente detto.
In san Luca leggiamo queste terribili parole di Gesù:
“Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel Regno di Dio e voi cacciati fuori” (13, 27-28). In Matteo 25, 34 Gesù dirà ai salvati: “Venite (..., ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”; ma ai malvagi: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno” (25, 41).
Fondamentalmente, dunque, e svestita dalle immagini, la condizione del peccatore indurito consiste nell'essere cacciato fuori del Regno, escluso dalla comunità del Re e dei salvati, ossia dei buoni.
San Paolo segue questa pista e afferma ripetutamente che coloro i quali non ubbidiscono al Vangelo non erediteranno il Regno di Dio (Cf. 1 Corinzi 6, 4-10; Galati 5, 19-21). Nella Lettera ai Filippesi 3, 19-20 assicura ai buoni “la patria nel cieli assieme a Cristo”, ma per i nemici della Croce di Cristo “la perdizione sarà la loro fine”. I peccatori saranno castigati con una rovina (non distruzione) eterna, lontano “dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Tessalonicesi 1, 9).
Alla luce di queste e simili espressioni possiamo dire che, secondo la Bibbia, la Geenna è un modo di essere, un'esistenza radicalmente opposta al modo di essere, alla esistenza nel Regno di Dio. E' una esclusione, una lontananza dalla gloria del Signore Gesù e dalla compagnia dei giusti.
b) E che cosa sarà il Regno di Cristo e di Dio? (Cf. Efesini 5, 5).
Un barlume di questa futura realtà gioiosa ci è dato ancora dall'Apostolo là dove scrive: “Il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17). Altrove san Paolo descrive le qualità del Regno con le parole: amore, pace, gioia, pazienza, benevolenza ecc., in forte contrasto con le opere della carne che sono: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizia, discordia (... ). Chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Galati 5, 19-22).
Si tratta di un barlume della futura realtà umana perché le parole dell'Apostolo si riferiscono direttamente alla vita dell'uomo ancora su questa terra, rinnovato o meno dallo Spirito, dentro cioè o fuori della comunità ecclesiale. Tuttavia la Chiesa “costituisce in terra il germe e l'inizio” del Regno nella sua pienezza. Tra la vita nel Regno su questa terra e quella piena dopo la restaurazione finale non vi è frattura o salto di qualità, ma rapporto di continuità come tra germe e frutto, tra inizio e compimento, tra imperfetto e perfetto (Cf. 1 Corinzi 13, 10).
Anche di questa pienezza del Regno la Bibbia scopre in qualche modo il velo, ma lo fa con immagini, di cui le più comuni sono quelle del banchetto e della luce (Cf. Luca 13, 29; 14, 14; Apocalisse 19, 9; Isaia 25, 6-9). Il Regno di Dio, nella sua futura realizzazione, sarà una gioiosa esistenza nella comunione con Dio e con i fratelli come in un banchetto perenne nella luminosità di un giorno senza tramonto: “I giusti risplenderanno come il sole nel Regno del Padre loro - (Matteo 13, 43).
c) Stando così le cose si può capire come, secondo la Bibbia, la Geenna, in quanto esclusione dal Regno, altro non è che la mancanza, la privazione, la perdita di tutto ciò che può rendere l'uomo veramente felice: amore, gioia, pace, bontà, fratellanza; e la presenza di tutto ciò che lo rende veramente infelice: libertinaggio, inimicizie, discordie, odio... Si può anche capire come sia possibile condannarsi alla Geenna fin da questa vita.
“Ho l'inferno nel cuore!”, disse l'innominato al buon Federico. La vita di quell'uomo era, infatti, tutta un intreccio di odio, ingiustizie, ipocrisie, crudeltà, nefandi delitti. Quando ci vide chiaro, riconobbe di avere scelto una vita infernale.
Così pure quando in una casa, in una famiglia, in un ambiente di lavoro non c'è armonia, rispetto, giustizia, ma piuttosto egoismo, sfruttamento, ingiustizia, odio, vendetta, si dice abitualmente. “Qui siamo in un inferno!”. Naturalmente nessuno pensa al fuoco che brucia materialmente, ma alla mancanza di tutto ciò che può far l'uomo felice come l'amore, la pace, la gioia. Sono pallide immagini della realtà infernale.
d) Quella finora descritta è chiamata nel linguaggio abituale dei cattolici pena del danno e consiste, come abbiamo detto, nella perdita o privazione del Regno di Dio, pienezza di giustizia e di pace, di amore e di gioia.
Ma nel linguaggio cattolico, con riferimento sempre alla Bibbia, si parla pure della pena del senso, che è indicata appunto nelle immagini bibliche soprattutto con quella del fuoco.
Che cosa significa questa immagine? Escludiamo assolutamente che si debba pensare a un fuoco materiale, che bruci eternamente le anime dei dannati! I tdG che attribuiscono alla Chiesa Cattolica tale insegnamento sono ignoranti (la base), in malafede (i dirigenti).
Per capire la pena del senso ricordiamo che il fuoco nella Bibbia è simbolo della santità di Dio nel suo duplice aspetto: attraente e terribile. Attira come irresistibile Amore che purifica (Esodo 19, 9-10; Isaia 6, 67), ma brucia o divora ogni impurità (cf. Deuteronomio 5, 25). Per coloro che hanno fatto la scelta del rifiuto e della ribellione, che non si sono purificati, il fuoco divino continua ad ardere, ma non attrae più né salva. Il malvagio indurito si strugge, soffre senza rimedio. La Bibbia esprime così che cosa può essere l'esistenza d'una creatura che, rifiutando di essere purificata dal fuoco, ne rimane bruciata.
e) Dov'è l'inferno?
Cominciamo col dire che nel Nuovo Testamento non troviamo nessuna “geografia” dell'aldilà (centro della terra, in fondo al mare, ecc.) come avviene in molti scritti dell'Antico Testamento specie del tardo giudaismo e anche del cristianesimo medievale (basti pensare alla Divina Commedia) e anche di alcune sette pseudo-cristiane del nostro tempo.
Quando gli scrittori del Nuovo Testamento parlano di Geenna o di “stagno o lago di fuoco e di zolfo” (cf. Apocalisse 20, 10-14; 21, 8), il luogo o paesaggio può essere la valle a sud di Gerusalemme dei tempi dei re Achaz o Manasse oppure quello del Mar Morto. Ma si tratta di immagini che non vanno prese alla lettera.
Ma se si pensa che l'inferno consiste nell'essere esclusi dalla gioia del Regno, in una vita senza bontà, senza bellezza, senza speranza, appare chiaro che l'essere qui o là è secondario. Dovunque il dannato si trovi, avrà l'inferno sempre con sé, come in una società o famiglia sana e gioiosa il malvagio è escluso o piuttosto si esclude dalla gioia e dalla pace degli altri.
Perdita non distruzione
La Geenna, dunque, non significa “la distruzione completa ed eterna” dell'uomo, come erroneamente affermano i tdG (cf. infra, Terza Parte). Le prove bibliche in contrario sono molteplici.
a) Già nell' A.T., i profeti intravedono come, dopo la morte, i malvagi andranno incontro a una sorte o retribuzione eterna, che è un modo di essere infelice e penoso. Isaia parla di “verme che non morirà e di fuoco che non si spegnerà'” (cf. 66, 24; 33, 14). Daniele poi è il primo esplicito messaggero di Dio circa il destino finale dell'uomo: “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra sì sveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna” (12, 2). E' impossibile riferire questo linguaggio a uno stato di inesistenza o distruzione' completa. Per chi non esiste più, non vi può essere né verme né fuoco né vergogna né infamia eterna. C'è il nulla!
b) Ma è soprattutto nel N. T. dove la rivelazione di una esistenza penosa ed eterna dopo la morte si fa chiara. Sempre che nel N.T. si parla della sorte dei malvagi dopo la morte i termini che si usano indicano un cambiamento di stato o modo di essere, continuando nell'esistenza, non una distruzione completa. Gesù parla di gettare (greco bàllein) o di andare (greco èrchomai) nella Geenna (cf. Matteo 5, 29-30; 25, 46; Marco 9, 43). Parimenti Giovanni nell'Apocalisse (20, 10) dice che il diavolo fu gettato (greco bàllein) nello stagno di fuoco, dove assieme alla bestia e al falso profeta saranno tormentati giorno e notte pei secoli dei secoli. Senza un’esistenza, un modo di essere e di vivere, non si può essere tormentati.
In Luca 12, 4-5 Gesù dice: “Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far nulla (...). Temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare (greco embàllein) nella Geenna” (cf. Matteo 10, 28-31). A differenza dell'uomo che, dopo aver ucciso, nulla può fare verso un suo prossimo, il potere di Dio si estende anche dopo la morte dell'uomo. Egli può mandare nella Geenna. Su chi o su che cosa Dio esercita questo suo potere se dopo la morte l'uomo va incontro a una distruzione completa ed eterna?
Perciò quando nel passo parallelo di Matteo 10, 28-31 Gesù dice: “Temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire (apùllumi) anima e corpo nella Geenna”, il pensiero è che l'uomo tutto intero può incorrere in una grave sciagura, in una tremenda rovina, non in una distruzione completa, anche dopo aver perso la vita terrena .
Dio è Amore (1 Giovanni 4, 8)
Fu lo Spirito Santo mandato dal Padre nel nome del Figlio a insegnare a Giovanni che Dio è Amore (cf. Giovanni 14, 16-21). Dio ha mostrato il suo amore fin da principio nella creazione, dando all'uomo il dono della libertà, che colloca l'uomo all'apice del creato, e lo fa simile a Dio (cf. Genesi 1, 27) e suo interlocutore. Senza la libertà l'uomo non è uomo.
Perciò Dio ha potuto dire all'uomo: “Vedi lo pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio (...) perché tu viva (...) Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu ascolti (...) altri dèi (...), io vi dichiaro oggi che certo perirete” (Deuteronomio 30, 15-18). L'uomo dunque può dire di no all'Onnipotente.
Ma anche di fronte al rifiuto aberrante dell'uomo, Dio rimane identico a se stesso e fedele. Egli è sempre Amore “perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5, 8; cf. 1 Timoteo 2, 4-6; 2 Timoteo 2, 13).
Ma l'uomo può dire ancora di no, può rifiutare per sempre l'amore di Dio.
Questo è l'inferno, ed esiste solo dalla parte dell'uomo perché è divinamente impossibile che Dio possa o voglia cooperare minimamente a tanta aberrazione.
E' bene perciò puntualizzare una verità spesso ignorata:
“Il Cristianesimo non è affatto una dottrina delle due vie, non mette cioè sullo stesso piano un 'paradiso' e un 'inferno' come due sbocchi possibili allo stesso modo. Anzi, per essere precisi. 'l'inferno' (…) in un certo senso non fa parte della escatologia cristiana. Per questa la storia degli individui e dell'umanità non ha due mète, ma una sola: la salvezza, il 'paradiso'...
Questa è la certezza del credente. Certezza che non cancella per i singoli, per ogni uomo, per me stesso, la possibilità terribile e concreta di un totale fallimento. Forse all'inferno non c'è nessuno (...). ciò non toglie però la possibilità che io sia il primo a sperimentarlo. In ogni caso, se questo dovesse avvenire, non sarà per il giudizio di un Dio bisbetico e vendicativo; semmai per un 'auto-giudizio': all'inferno non si va, si resta come scelta radicale di tutta la vita” .
La Chiesa Cattolica ha ricordato che “Molto spesso gli uomini vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale”.