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Eucaristia Catechesi significato sacramento studio biblico

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Lo studio biblico che trovate in questa pagina porta numerose prove bibliche e riflessioni sul significato dell'Eucarestia e del suo infinito valore, provando Bibbia alla mano le ragioni della dottrina cattolica.
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L’EUCARISTIA


Spesso discutendo via Internet con fratelli evangelici circa le verità cattoliche, mi viene rimproverato di ricorrere ai padri della Chiesa per cercare di affermare le verità dottrinali cattoliche. Precisando che non si tratta di affermare, ma di provare, non vedo cosa ci sia di male nel farlo, visto che io leggo e capisco la Bibbia in un modo e il fratello evangelico, gli stessi versetti li capisce in modo diverso, anzi direi che in qualsiasi indagine seria si cercano sempre le prove, e queste ci vengono fornite dai primi cristiani. E’ fondamentale sapere cosa credevano e cosa insegnassero i nostri antenati cristiani. Per abbreviare le lunghe e annose polemiche si deve per forza ricorrere a pareri autorevoli. Diversamente ci si chiude nella propria verità, rendendosi impermeabili a tutto ciò che ci viene detto o dimostrato. E’ un po’ come fanno gli eccentrici, che nella loro deformazione ideologica si creano la loro verità e non vogliono o -non riescono- più a capire ciò che gli viene detto o dimostrato. Naturalmente più avanti troverete una ampia disamina dei versetti biblici che parlano dell’Eucaristia, prima è giusto cominciare a vedere cosa insegnassero i primi cristiani nostri fratelli e padri nella fede.
La loro mente purtroppo diventata refrattaria verso l’esterno, si è ormai chiusa, rifiutando ogni spiraglio di ragione. Naturalmente non voglio offendere i fratelli evangelici, e nemmeno voglio discriminare gli eccentrici, ho usato questo esempio per meglio rendere l’idea di certi comportamenti verso le verità cattoliche, rispettando sia i fratelli eccentrici, sia i fratelli evangelici, riferendomi piuttosto allo stato mentale che alle persone, cioè all’impermeabilità. Uno stato mentale che rifiuta a priori ogni altra verità o tesi differente dalla propria.
Adottando questo metodo, ognuno di noi si può creare la propria verità e renderla inattaccabile da qualsiasi altra tesi, resta così fermamente ancorata nei meandri del nostro cervello. Molti credenti si creano così, tanti cristi personalizzati, e tante infinite verità.
La Verità invece resta UNA sola e non preclude l’uso della ragione per conoscerla e apprezzarla, fede e ragione non sono agli antipodi ma anzi si sposano benissimo. E’ la ragione che fa meglio assaporare la bellezza della fede.

Citare quindi gli autorevoli pareri dei padri della Chiesa è d’importanza fondamentale per capire, con la ragione, dove sta la verità.


Anzi, era prassi delle prime comunità cristiane, in contrasto con le correnti eretiche, come gli gnostici, gli ariani, ecc., che fin dai primi anni dopo Cristo tentavano di alterare la sana dottrina spiegando la Bibbia a modo loro, mostrare le prove della loro apostolicità esibendo la successione dei vescovi partendo dagli apostoli. A quei tempi era questa la carta d’identità della vera Chiesa di Gesù Cristo. Citare quindi i pareri autorevoli dei padri della Chiesa era prassi assai diffusa, per contrastare le dottrine eretiche che covavano all’interno della Chiesa. Ricordiamo che spesso molti eretici erano ex presbiteri.
Per cui
Ignazio di Antiochia 107 d.C. nella sue lettere agli Sminersi 8,1 e agli Efesini 20,2 parla chiaramente dell’Eucaristia come corpo e sangue di Cristo. Lo stesso fa Giustino martire nella sua Apologia cap.65 che invia all’imperatore pagano Antonino Pio. Ireneo di Lione, Tertulliano, Atanasio, Cipriano, Gregorio di Nissa, Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio di Milano, Agostino di Ippona, Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzo, sono fra i più famosi ed autorevoli vescovi, padri e dottori della Chiesa a parlare per primi della presenza reale del corpo e sangue di Cristo Gesù nell’Eucaristia. La Nuova Alleanza fatta da Gesù Cristo mediante il suo unico sacrificio, si rinnova in forma gloriosa durante la Santa Messa, è verità di fede.
Questo sacramento prende come punto di partenza rituale l’ultima cena pasquale celebrata da Gesù Cristo con gli Apostoli, prima della Passione.

Recentemente si è scoperto grazie ai ritrovamenti dei papiri e pergamene di Qumran, che i Vangeli e gran parte del Nuovo Testamento furono scritti dapprima in aramaico e solo successivamente tradotti in greco. Alcuni famosi papirologi e biblici come padre Carmignac e Josè Miguel Garcia, hanno pazientemente ritradotto alcuni passi oscuri dei Vangeli dal greco in aramaico, spiegando con molta precisione il significato originario di tali versetti.
Tra gli episodi misteriosi, c’è sicuramente la lavanda dei piedi e il suo significato profondo. Perché Gesù lavò i piedi ai discepoli dopo aver cominciato la cena?
"Per capirlo è necessario tenere presente che era abitudine d’allora lavare i piedi prima dell’inizio dei banchetti. L’anfitrione soleva offrire dell’acqua per i piedi ai suoi ospiti; si trattava di una cortesia di cui abbiamo un esempio in Lc 7,36-50 il compito di offrire l’acqua, di lavare e risciacquare i piedi ai commensali spettava ai servitori. Nel racconto di Giovanni, il collegamento tra la lavanda dei piedi e la cena è ovvio.  La cosa sorprendente è che venga realizzata proprio da Gesù, a cena già iniziata. In questo modo risalta ancor di più la trascendenza del gesto, la cui rilevanza non può che derivare dall’associazione con ciò che accadrà "dopo", cioè l’Eucaristia. La risposta di Gesù alle parole di Pietro esplicita chiaramente che la lavanda dei piedi è necessaria, se vuole avere parte con lui. Ovvero, è necessario purificarsi prima di partecipare all’Eucaristia, che viene descritta come una partecipazione nella persona di Gesù. L’espressione "aver parte con me"  evoca le formule utilizzate da Paolo in 1Cor 10,16: <<comunione del Sangue di Cristo>> e <<comunione del Corpo di Cristo>>.  Il gesto di Gesù, pertanto, è inteso a preparare i discepoli ad accogliere il dono che egli si accinge e fare di se stesso. E’ molto significativa la forma sotto la quale il Signore volle rimanere con noi, poichè se fosse rimasto mantenendo il proprio aspetto, sarebbe rimasto per essere venerato, ma restando sotto forma di pane, è restato per essere mangiato e venerato: affinché con uno si esercitasse la fede, con l’altro la carità. E viene chiamato pane di vita, poiché è la vita stessa, è la vita sotto forma di pane; perciò quest’altro pane a poco a poco dà la vita a chi lo mangia, dopo molte digestioni; ma chi mangia questo pane con dignità, riceve la vita all’istante, perché mangia la vita stessa. Cosicchè, se questo cibo ti ripugna perché è vivo, avvicinati a lui perché è pane; e se lo rispetti poco perché è pane, stimalo molto perché è vivo" cfr,( La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, J.M. Garcia, ed. BUR)


I quattro evangelisti e San Paolo danno notizia di questo fatto. In quella memorabile Cena, il Signore introduce vari cambiamenti sul tradizionale rito della Pasqua degli ebrei, così istituisce il Sacramento e dà origine ad una nuova ritualità che, attecchita sulle tradizioni liturgiche di Israele, le supera, portandole alla "pienezza".


Di ciò offre fedele testimonianza la Scrittura: i sinottici narrano sommariamente di una cena giudaica, perché (evidentemente) già conosciuta, per incentrarsi sulla novità cristiana, ovvero sul Sacramento. E la prima di questa novità più significative  sono le parole con le quali il Maestro accompagna il gesto, realizzato dopo lo "Spezzare il Pane", per darne ad ognuno dei commensali un pezzo per cominciare a cenare. I primi cristiani cominciano a chiamare la loro celebrazione sacramentale "Frazione del Pane".
Essi, specialmente a Gerusalemme, si abituano a mantenere le tradizioni oranti degli ebrei osservanti. Accorrono alle ore prescritte a pregare nel Tempio e partecipano ai culti sinagogali, e di questo ci sono abbondanti prove nel Nuovo Testamento. Il sabato però, dopo aver partecipato al culto delle letture, salmi e preghiere nella Sinagoga, quando col cadere dal pomeriggio cominciava il primo giorno della settimana, si ritirano nelle proprie case per "Spezzare il Pane" intorno agli Apostoli.


Quello che sappiamo è che, cominciando dalle comunità paoline, il rito cristiano della "Frazione del Pane" si va gradualmente separando da quello che era la cena di comunità, una refezione di carattere religioso-sociale. Così,
gradualmente, nelle comunità cristiane guadagna terreno la prassi di iniziare leggendo la Legge ed i Profeti, al modo sinagogale, per seguire con la lettura di scritti o lettere degli Apostoli e poi ascoltare l’interpretazione cristiana dei testi veterotestamentari letti, cosi come gli insegnamenti e i fatti della vita di Cristo, trasmessi dalla bocca degli Apostoli o dei loro immediati collaboratori nella missione. Poi si procede ad offrire suppliche e preci, al modo sinagogale, per tutte le necessità, si presentano pane, vino ed acqua e si realizza la "Frazione" del Pane tra canti e lodi a Dio, per finire molte volte con una colletta in favore dei poveri.
Oggi il termine sacrificio per molti ha assunto un significato negativo, ma è utile riscoprire il vero significato di tale termine nel contesto eucaristico.
La prima tappa deve essere una questione preliminare alla comprensione essenziale del termine sacrificio. Si considera comunemente il sacrificio come la distruzione di una realtà preziosa agli occhi dell’uomo; distruggendola, egli vuole consacrare questa realtà a Dio, riconoscere la sua sovranità. Tuttavia, una distruzione non onora Dio. Ecatombi di animali o di qualsiasi cosa non possono onorare Dio. "Se avessi fame, a te non lo direi, mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli nell’Altissimo i tuoi voti" — dice Dio a Israele nel salmo 50 (49), 12-14.


In che cosa consiste allora il sacrificio? Non nella distruzione, ma nella trasformazione dell’uomo. Nel fatto che diventa lui stesso conforme a Dio, e diventa conforme a Dio quando diventa amore. "È per questo che il vero sacrificio è qualsiasi opera che ci permette di unirci a Dio in una santa comunità", dice a proposito Agostino. A partire da questa chiave neotestamentaria, Agostino interpreta i sacrifici veterotestamentari come simboli che significano questo sacrificio propriamente detto, ed per questo, dice, che il culto doveva essere trasformato, il segno doveva scomparire in favore della realtà: "Tutte le prescrizioni divine della Scrittura concernenti i sacrifici del tabernacolo o del tempio, sono delle figure che si riferiscono all’amore di Dio e del prossimo" (La Città di Dio, X, 5).


Il "sacrificio" consiste dunque —diciamolo ancora una volta — nella conformazione dell’uomo a Dio nella sua theiosis, direbbero i Padri. Consiste, per esprimersi in termini moderni, nell’abolizione delle differenze, nell’unione tra Dio e l’uomo, tra Dio e la creazione: "Dio tutto in tutti" (1 Cor 15, 28). Ma come ha luogo questo processo che fa sì che diventiamo amore e un solo corpo con il Cristo, che noi diventiamo una sola cosa con Dio, come avviene questa abolizione della differenza?


Nella sua definizione: sacrificio eguale amore, Agostino si appoggia con ragione sul termine presente sotto diverse varianti nell’Antico e nel Nuovo Testamento che egli cita secondo Osea: "Voglio l’amore e non il sacrificio" (6, 6; 5. Agostino, La città di Dio, X, 5). Ma questa affermazione non mette semplicemente una opposizione tra ethos e culto — in questo caso il cristianesimo si ridurrebbe a un moralismo —, rinvia a un processo che è più che la morale, a un processo di cui Dio prende l’iniziativa. Lui solo può avviare nell’uomo il cammino verso l’amore.

È solo l’amore con cui Dio ama che fa crescere l’amore verso di Lui. Questo fatto di essere amato avvia un processo di purificazione e di trasformazione, nel quale noi non siamo solo aperti a Dio, ma uniti gli uni agli altri. L’iniziativa di Dio ha un nome: Gesù Cristo — il Dio che si è fatto Lui stesso uomo e si dona a noi. Ecco perché Agostino può sintetizzare tutto questo dicendo "Tale è il sacrificio dei cristiani: la moltitudine è un solo corpo nel Cristo.
La Chiesa celebra questo mistero con il sacrificio dell’altare, ben conosciuto dai credenti, perché in questo le è mostrato che nelle cose che essa offre, essa stessa è offerta" (ibid. X, 6). Chi ha compreso questo non sarà del parere che parlare del sacrificio della Messa è perlomeno altamente ambiguo e anche uno spaventoso errore. Al contrario: se non ritroviamo questa verità, perdiamo di vista la grandezza di ciò che Dio ci dona nell’Eucaristia. (cfr, Benedetto XVI)

Da dove nasce però la controversia con i fratelli protestanti circa la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia?
Fu Zwingli, e non Lutero, a ideare il semplice ricordo del sacrificio di Gesù sulla Croce, dicendo che gli era apparso uno spirito che gli suggerì i versetti di Esodo cap.12 dove si parla della Pasqua, che significa il passaggio di nostro Signore, ecco il verbo greco Est, che viene usato in "Questo è il mio corpo…" Zwingli prese a dire che era lo stesso di quello di Esodo, quindi fece aggiungere ai suoi libretti, "Questo significa il mio corpo…" negando e riducendo così la presenza reale a semplice commemorazione del sacrificio.
Ecco cosa scriveva Lutero nel suo libro "Le Parole di Cristo":

"Ci chiamano carnivori, bevitori di sangue, antropofagi, cafarniti, arroganti, etc., come se fossimo dementi, insensati, o furiosi, come se avessimo ingoiato follemente Cristo e lo mangiassimo a pezzetti come il lupo divora la pecora, e bevessimo il suo sangue come la mucca beve l’acqua.

Anche se avessero ragione, il che è impossibile, nell’affermare che nell’Eucaristia non vi sia realmente altro che pane e vino, se pure vogliono infuriarsi e tuonare contro di noi con queste orribili blasfemie di un Dio bollito, un Dio impanato,
...non dovrebbero comunque avere rispetto della santa parola di Cristo, non inventata da noi: QUESTO E' IL MIO CORPO?"

(MARTIN LUTERO,
Le parole di Cristo: Questo è il mio corpo siate fer contro i fanatici)

La differenza sta proprio nel guardare bene i versetti di Esodo, che spiegano essi stessi il significato della Pasqua, dicendo che significa il passaggio del Signore, nel Nuovo Testamento invece non troviamo spiegazione alle parole "Questo è il mio corpo…questo il mio sangue…chi mangerà la mia carne avrà la vita eterna", anzi molti discepoli che non capirono male le parole di Gesù limitandosi al significato superficiale, letterale, si allontanarono da lui, dicendogli che quelle parole erano troppo dure. Notiamo che Gesù vedendoli allontanarsi non li chiamò dicendogli "ma che cosa avete capito???  Quello che ho detto significa…, li lasciò andare, perché non c’era nulla da semplificare nel suo insegnamento. Non voleva essere una semplice commemorazione, altrimenti Gesù glielo avrebbe spiegato, neppure gli apostoli capirono, ma nonostante questo non si allontanarono da Gesù, che gli chiese se anche loro volevano andarsene per non aver capito, Pietro gli rispose "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna." Gesù gli stava evidentemente chiedendo un atto di fede, gli chiedeva di fidarsi di Lui, anche se non capivano come potessero mangiare la sua carne. Il corpo di Gesù in forma gloriosa, assume altre proprietà, non governate dalle leggi della fisica, in modo mistico, si rende presente nella sostanza, non nella forma, del pane e del vino. E’ lo Spirito Santo che vivifica il pane e il vino, cioè li rende vivi nella sostanza, se si pensa in modo carnale non giova a nulla, non si può capire questo grande mistero, e nemmeno crederci. Naturalmente questa interpretazione mise Zwingli in netto contrasto con Lutero, il quale predicava la presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, fino alla durata della Messa, finita la celebrazione ritornavano ad essere semplici pane e vino. La Chiesa cattolica invece insegna la presenza reale che dura oltre la Messa, una volta consacrati il pane e il vino diventano vero corpo e vero sangue di Gesù, anche a celebrazione terminata restano tali.
Vorrei segnalare molto brevemente una terza via secondo la quale è progressivamente diventato più chiaro il passaggio dal culto di sostituzione, quello della immolazione di animali, al vero sacrificio — alla comunione, alla offerta del Cristo. Presso i profeti pre-esilici c’era stata contro il culto del tempio una critica estremamente dura, che Stefano, con stupito terrore dei dottori e dei sacerdoti del tempio, riprese nel suo grande discorso. segnatamente questo versetto di Amos: "Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant’anni ne! deserto, o casa di Israele? Avete preso con voi la tenda di Moloc e la stella del dio Refan, simulacri che vi siete fabbricati per adorarli" (5,25, At 7,42).

La critica dei profeti fu il presupposto interno che per mise ad Israele di attraversare la prova della distruzione del tempio, dell’epoca senza culto. Allora ci si trovò nella necessità di mettere in luce in modo più profondo e nuovo che cosa è il culto, l’espiazione, il sacrificio. Al tempo della dittatura ellenistica, in cui Israele fu di nuovo senza tempio e senza sacrificio, il libro di Daniele ci ha trasmesso questa preghiera: "Ora, Signore, noi siamo diventati più piccoli dl qualunque altra nazione.., ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti dl montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a Te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto i! cuore, ti temiamo e cerchiamo il Tuo volto" (Dn, 37-41).

Così lentamente maturò la scoperta che la preghiera, la parola, l’uomo che prega e diviene lui stesso parola è il vero sacrificio. A questo proposito la lotta di Israele poté entrare in fecondo contatto con la ricerca del mondo ellenistico: anche esso cercava il ripiego per uscire dal culto di sostituzione delle immolazioni di animali, per arrivare a un culto propriamente detto, alla vera adorazione. In questa prospettiva è maturata l’idea della loghikè tysia — del sacrificio consistente nella parola che noi incontriamo nel Nuovo Testamento in Romani 12,1, dove l’apostolo esorta i credenti ad offrire se stessi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.

Questo è indicato come loghikè latreia, come servizio divino secondo la parola, ragionevole. Sotto un’altra forma, troviamo la stessa affermazione in Eb 13, 15: "Per mezzo di Lui — il Cristo — offriamo a Dio continuamente un sacrificio di fede, cioè il frutto di labbra che confessano il Suo nome". Numerosi esempi, provenienti dai Padri della Chiesa, mostrano come queste idee furono sviluppate e divennero il punto di congiunzione tra la cristologia, la fede eucaristica e la traduzione pratico-esistenziale del mistero pasquale. (cfr, Benedetto XVI)

Voglio ricordarvi come fu stipulata la Vecchia Alleanza sottolineandone le precise e non casuali modalità.
In Esodo 24,9 leggiamo: "Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Mosè quindi prese il sangue dei giovenchi e con esso asperse il popolo.
Notiamo qui che il
sangue era fisicamente presente, la Vecchia Alleanza fu fatta con il sangue del sacrificio, non solo a parole.
"Uno stesso sangue fu asperso da Mosè sul popolo e sulle pietre dell’altare che rappresentava Dio.
Vi è una relazione un po’ misteriosa nel libro del Levitico (capitolo 17) riguardo al sangue. E’ scritto con insistenza che
"il sangue espia in quanto è vita" e ancora che  "la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in quanto sua vita". Dunque una stessa vita doveva tenere unito il popolo ebreo al suo Dio. Questo il significato profondo del rito compiuto da Mosè. Quasi tredici secoli dopo questo evento, Dio farà un ‘ Nuovo patto ’ non più con un solo popolo ma con tutto il genere umano. Vi sarà ancora una vittima, vi sarà ancora del sangue. La vittima sarà il Figlio di Dio, Gesù il Cristo. Egli verserà il suo sangue negli spaventosi supplizi della sua passione fino alla morte di croce." (cfr Anna Maria Cenci, Il Timone n.50)
Non bisogna dimenticare il gesto di Melkisedek, figura del sacerdozio che non tramonta, figura di Cristo, che non offrì l’immolazione di animali ma pane e vino come sacrificio di lode al Dio Altissimo (Gn 14,18). Questo gesto così misterioso, diverso, insolito per la mentalità sacrificale dell’epoca sarà svelato da Cristo nel Nuovo Testamento. I sacrifici cruenti lasceranno il posto a quello incruento, unico sacrificio di Cristo, che s’immola come agnello di Dio, col Suo corpo glorioso, ormai libero dalle leggi fisiche umane, ogni giorno sugli altari di tutte le Chiese, per essere gloriosamente presente in mezzo a loro, in maniera nettamente diversa rispetto alla sola presenza spirituale, ottenibile con la preghiera. Il Pane del Cielo si dona per essere mangiato dai fedeli, e diventare un tutt’uno con essi.
Se analizziamo bene le parole e i gesti che Gesù fece nell’ultima cena, tenendo presente la modalità con la quale è avvenuto il Vecchio Patto, non possiamo fare a meno di notare che il punto fondamentale per i due patti è
la presenza fisica del sangue.


Nel primo vi fu la presenza fisica e reale del sangue, ne consegue che nel secondo vi doveva per forza essere la stessa presenza di sangue. Oltre al sangue sparso sulla croce, Cristo rinnova ogni giorno il suo sacrificio in maniera gloriosa. Ecco che le parole di Gesù
"questo è il mio corpo che è dato per voi" e "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" ci indicano la presenza del suo sangue, in quel preciso momento, notiamo che Gesù durante l’ultima cena non parla al futuro, ma al presente. Infatti, non dice: "questo sarà il mio corpo, e questo sarà il mio sangue, che verserò per voi." Se analizziamo la frase, risulta palese che è tutta al presente, cioè il suo corpo e il suo sangue li ha dati da mangiare agli apostoli in quel preciso momento della santa cena. Del resto se voleva stipulare il Nuovo Patto sulla croce, nel momento in cui tutti poterono vedere il suo sangue scorrere, poteva farlo benissimo, pronunciando quelle parole dall’alto della croce, magari facendo discendere un torpore simile a quello che colpì Abramo per la Vecchia Alleanza. Non ci fu nessun torpore, ma piuttosto il cielo si oscurò e le tenebre avvolsero quel luogo, nessuno, infatti, capiva veramente ciò che stava accadendo. In quel momento non capivano che il mistero della salvezza si stava adempiendo davanti i loro occhi avvolti dalle tenebre.


Ci volle la discesa dello Spirito Santo per la Pentecoste, per squarciare quelle tenebre, con una luce radiosa e purificante. Gesù vuole la fede prima di ogni altra cosa, è facile credere dopo aver visto, ma negli insegnamenti del Maestro è sempre presente il mistero, vi sono sempre elementi chiaramente spiegabili con la ragione umana, e altri che per crederli è necessaria la fede. Se gli insegnamenti e le azioni di Gesù fossero tutti umanamente ben provabili e scientificamente spiegabili, la fede non sarebbe più necessaria, basterebbero la fisica e la matematica per credere in Lui. Invece il chiaro-scuro in cui è avvolto tutto il suo insegnamento dà spazio a chi vuole credere come anche a chi non vuole. Dio non obbliga nessuno a credere, ecco perché troviamo misteri nel suo insegnamento, chi crede merita la salvezza, perché si fida della Sua Parola. Il Padre vuole la fiducia dei figli, se la riceve, li premia con la vita eterna. La fiducia è qualcosa che va oltre la ragione umana, qualcosa che ci viene data dall’alto.


Probabilmente se Cristo avesse pronunciato le parole della nuova alleanza dalla croce e poi magari ne fosse sceso, tutti i presenti avrebbero creduto, forse, ma la fiducia avrebbe lasciato il posto alla matematica, facendo leva sull’equivalenza "io credo perché ho visto e toccato", matematico. Di questo passo il cristianesimo non sarebbe durato a lungo, perché tutte le genti che non assistettero al sacrificio sulla croce non avendo visto e toccato non avrebbero creduto. Figuriamoci poi tutte le generazioni future, ecco l’importanza della fiducia.
Del resto anche gli scribi e farisei chiesero più volte a Gesù di dimostrare in maniera inequivocabile la Sua potenza, in modo che essi potessero finalmente credere. Gesù scelse di non farlo, forse per un profondo atto di misericordia nei loro confronti, in modo da non renderli inescusabili, qual’ora anche assistendo ad un portentoso prodigio avessero trovato degli ulteriori cavilli per non credere.
Resta il fatto che Gesù fece il Nuovo patto il giorno prima del suo sacrificio sulla croce, e che il Patto, come da prassi biblica esigeva la presenza reale del sangue.
Colui che aveva cambiato a Cana l’acqua in vino, colui che aveva creato tutto, compreso il sangue umano, poteva forse aver difficoltà a rendere presente il suo sangue in quel preciso momento?
Sicuramente no, ma il chiaro-scuro fa parte del mistero della salvezza, agli apostoli era stato preannunciato quell’evento, ed erano rimasti sbigottiti e frastornati nell’udire ciò che per loro era impossibile da realizzarsi, cioè mangiare la carne del proprio maestro e berne il sangue.
Che valore avrebbe la nostra fede, se vedessimo veramente il corpo e il sangue di Cristo nell’Eucaristia? Non si tratterebbe più di credere in fede, ma semplicemente di costatare visivamente e poi magari anche scientificamente.
Certo se nell’ultima Cena avrebbero visto materializzarsi il corpo e il sangue di Gesù nel pane e nel vino, avrebbero creduto senza difficoltà, ma la fiducia nel loro maestro sarebbe scomparsa.
Gli apostoli credettero per fiducia, e ancora oggi la Chiesa crede che ogni volta che si celebra la Santa Messa si rinnova il nuovo patto tra Cristo è l’umanità credente.
Del resto il profeta Malachia già lo aveva detto secoli prima "
Poiché dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura…"(Ml 1,11)

Certamente l’oblazione pura non è il nostro sacrificio quotidiano, la nostra croce, che offriamo a Dio. I nostri sacrifici in nome della fede, pur essendo bene accetti da Dio, sicuramente non si possono definire puri.
L’oblazione pura è una sola, perché solo Gesù fece il sacrificio perfetto, in quanto lui stesso era perfetto agli occhi di Dio, e questo sacrificio puro, perfetto, lo ripete ogni volta che si celebra il suo memoriale. Gli ebrei non offrivano sacrifici in ogni luogo, ma solo nel Tempio, e soprattutto non si poteva parlare di oriente e occidente (cioè tutta la terra) ma solo di Gerusalemme. L’offerta pura è solo Gesù Cristo, non esistono altre oblazioni pure e, nelle offerte fatte a Dio era sempre realmente presente il sangue. Molti miscredenti vorrebbero vedere fisicamente il sangue nel calice, e Gesù materializzarsi nel pane, ma in questo modo la fede che fine farebbe?
Dio ha scelto di dare
abbastanza luce a chi vuole credere e abbastanza ombra a chi non vuole credere. Quel Dio che sembra giocare a rimpiattino con gli uomini: se si scoprisse interamente, non vi sarebbe alcun merito nel credere in Lui; se si scoprisse del tutto, non vi sarebbe la fede" Così diceva Blaise Pascal. Dunque, gli increduli che pretenderebbero dalla Messa la materializzazione di Cristo, neppure sospettano che se ciò non avviene in modo così spettacolare, come un numero da prestigiatore, è per misericordia. Come se Dio, in qualche modo, limitasse la sua potenza per limitare così anche la responsabilità di chi lo nega. Sì, responsabilità.  Perché è fondato il sospetto che qualcuno troverebbe sempre qualche pretesto. Direbbero: è verosimile che, in certe condizioni ancora indefinite la natura (cfr di V. Messori, Ipotesi su Maria) o la cosiddetta parapsicologia, possa far materializzare un corpo o l’apparenza di esso, e dare l’illusione che nel calice dopo la consacrazione ci sia reale sangue umano" (ndr), si comincerebbero a fare ipotesi di allucinazioni collettive, che la scienza ancora non è in grado di spiegare, insomma ci sarebbe sempre qualcuno lì pronto ad abbozzare pseudospiegazioni scientifiche. Direbbero: la scienza spiegherà anche questo un giorno, scuoterebbero il capo e chiederebbero qualche altra performance e così all’infinito.
In questo modo però aumenterebbe la loro "colpa", sarebbero davvero "rei" secondo la parola di Paolo:
"Essi sono dunque inescusabili perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti" (Rm 1,21).
Ma l’Eucaristia non è spettacolo, non è illusionismo, è il Sacrificio di Gesù Cristo che si rinnova in modo misterioso, e chi vuole lo crede per fede.

Qui di seguito approfondiremo l’argomento citando il parere di autorevoli padri e dottori della Chiesa, oltre ad analizzare dettagliatamente i passi biblici che parlano dell’Eucarestia.


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