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IL PURGATORIO
Probabilmente chi si accinge a leggere questo capitolo, vorrà subito trovare riscontri biblici sul Purgatorio, vorrà vedere quali sono i versetti che parlano di esso. Sicuramente se il lettore è un protestante si stupirà nell’apprendere che i padri della Riforma credevano nella dottrina del Purgatorio.
Lutero, patriarca e fondatore della riforma, quando si separò dalla Chiesa cattolica, conservò la credenza del purgatorio, nè ebbe difficoltà di predicare queste parole: «Io so che esiste il Purgatorio epperciò sono facile a persuadermi che la santa Scrittura ne faccia menzione. Tuttociò che {62 [98]} io so intorno al Purgatorio si è che le anime vi soffrono e che possono essere sollevate dalle nostre preghiere e dalle nostre opere.» Lutero ciò diceva appoggiato, come noi cattolici, sopra il Capo decimo secondo di s. Matteo dove si parla dei peccati che Dio talvolta perdona nel secolo futuro. Disp. de Leips.
Calvino collaboratore di Lutero nella Riforma, dapprima negò sfacciatamente il dogma del Purgatorio; ma veduto il consenso universale della Chiesa cattolica fu costretto a dire che il costume di pregare pei morti è antichissimo nella Chiesa e che i più antichi padri avevano creduto al Purgatorio e alle preghiere pei defunti. Calv. Istit., libro, 3.
Essendo poi stata dimandata a Calvino la spiegazione di alcuni testi della Bibbia che provano il dogma del Purgatorio, egli non sapendo come sbrigarsi rispondeva con dire che non bisognava scrutare con troppa ansietà lo stato delle anime dopo morte, perciocchè Iddio non ce lo ha voluto rivelare. Che perciò bisognava contentarci di sapere che le anime dei fedeli sono in uno stato di riposo dove attendono con gioia la gloria promessa, e che {63 [99]} tutto è sospeso cosi fino all'arrivo di Gesù Cristo in qualità di Redentore, Ist. lib. 3, c. 25.
Ecco uno stato di mezzo tra il Paradiso e l'Inferno che ha molta analogia col Purgatorio. Cosi quel Capo Riformatore, mentre negava una verità, era dall' evidenza costretto a professarla. Tale si è la credenza comune dei calvinisti sul Purgatorio.
Gli anglicani avevano da principio conservato le preghiere pei morti; ma più tardi essendo nati gravi dissidii sopra di ciò; per mantenere la pace si lasciò che ciascuno pensasse sopra tal materia secondo il privato suo giudizio; onde non è raro il caso d'incontrare colà varii protestanti i quali, alla morte de' loro congiunti od amici, come per naturale movimento del loro cuore, pregano per essi.
Altrove poi si dice: Noi sappiamo che gli antichi hanno parlato della preghiera pei morti, e noi non lo vogliamo proibire. Apol. de la confer. d'Ausbourg.
Leibnizio, che passa tra' più eruditi protestanti, parlando del Purgatorio si esprime così: II sentimento più antico della Chiesa si è che bisogna pregare pei morti, i {64 [100]} quali ricevono suffragio dalle nostre preghiere, e che quelli che sono usciti da questa vita sebbene siano divenuti eredi del cielo, per la remissione della pena eterna, e pel loro ritorno in grazia con Dio, ciò non ostante hanno ancora da subire un castigo paterno pei loro peccati, ed essere purificati, soprattutto se non hanno abbastanza cancellate queste macchie durante la loro vita sopra la terra. Leibnits, sur la religion.
Beausobre, altro dotto ministro protestante, dice esplicitamente. La preghiera pei morti non fa disonore alla ragione; ciò è conforme alla scrittura.
Altro protestante, Pietro Marlin, professava pure che: È costume di tutti i tempi il pregare pei defunti.
Per capire bene un argomento non si comincia dal nocciolo, ma gradatamente partendo dall’esterno di procede verso di esso.
Ma tanto per dare un accenno che sarà approfondito più avanti, ecco alcuni versetti che alludono ad un luogo intermedio tra Paradiso e Inferno, un luogo dove non si riceve la condanna definita, ma delle punizioni, delle percosse, tanto per usare un termine biblico.
"Ci hai fatto passare per il fuoco e l’acqua, ma poi ci hai dato sollievo" (Sal 66)
Lc 12 43-48 "Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l’aspetta e in un’ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più."
Qui ovviamente si allude al ritorno di Gesù, che giudicherà il mondo, se ci fosse solo il premio del Paradiso o la condanna dell’Inferno non si parlerebbe di poche percosse, cioè di punizione, ma di premio o condanna. Le poche percosse indicano una punizione più lieve rispetto alle molte percosse. In Paradiso non si ricevono percosse, ma gioia senza fine, all’inferno si ricevono molte percosse, per l’eternità. Le poche percosse, cioè una punizione minore, che lascia intendere la possibilità di accedere in Paradiso, (dopo aver ricevuto le poche percosse) dove si ricevono?
In Paradiso no, all’inferno no, quindi?
Deve per forza esistere un luogo intermedio, dove si sconta la punizione assegnata per la purificazione, e poi di accede al Paradiso.
Poi leggiamo versetti che parlano di una prigione
Mt 5,25-26 "Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!"
Il giudice è Dio, quindi anche questi versetti alludono ad giudizio finale, in Paradiso non vi sono prigioni, dall’Inferno non si esce più, allora che cosa è questa prigione, dove si trova?
1 Pt 3,18-19 "Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione"
Mt 12,31-32 "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.
"Si presume che nel secolo futuro, cioè quello del regno dei cieli, ci sono peccati che saranno perdonati, dopo aver ricevuto la meritata punizione, le poche percosse, ricevute dentro la prigione, dalla quale non si esce, se non dopo aver completato la purificazione. Ma, ripeto, questi versetti saranno approfonditi più avanti.
Qualcosa di simile c'insinua il Libro dei Re a proposito di Davide. Essendo stato mandato a lui il profeta e minacciandogli per il peccato da lui commesso mali futuri in nome dell'indignazione di Dio, egli con la confessione del suo peccato meritò il perdono e il profeta gli rispose che il suo vergognoso delitto gli era stato rimesso. Tuttavia seguirono i castighi che Dio aveva minacciato, perché fosse cosi umiliato nel figlio. Come mai non si dice anche qui: "Se Dio aveva minacciato il castigo per quel peccato, per quale ragione esegui il castigo minacciato dopo aver rimesso il peccato?". Se si dicesse questo, si risponderebbe ottimamente che la remissione del peccato fu fatta perché Davide non fosse escluso dalla vita eterna e le minacce di Dio furono eseguite perché la pietà di Davide si esercitasse e si provasse in quella umiliazione. Cosi anche quanto alla morte temporale è vero e che Dio l'ha inflitta all'uomo per il peccato e che dopo la remissione dei peccati non l'ha soppressa per far esercitare all'uomo la giustizia." (cfr, S.Agostino)
"Ma cosa avviene dopo la morte? Può un credente avere paura della morte? Alcuni dicono che dopo che l'uomo muore ed è posto sotto sette palmi di terra, tutto è finito: è l'annientamento totale dell'uomo. Gli egiziani dell'epoca delle piramidi, si avvicinarono al concetto biblico dell'immortalità dell'anima. Essi credevano nell' "Io" spirituale definito "KA" che era immortale e, quando l'uomo moriva, il suo "KA" si allontanava per compiere il suo ciclo, ovvero restare nel regno degli spiriti, per ritornare un giorno a rianimare quel corpo da lui abitato.
La domanda che ci poniamo attraverso questo studio è la seguente: "Dove sono i morti"? È un vecchio interrogativo sempre attuale: "Ma l'uomo muore e perde ogni forza; il mortale spira e dov'è egli?" (Giobbe 14:10).
Non tutti sanno rispondere soddisfacentemente, ma la Bibbia è sufficientemente chiara per coloro che la studiano con fede e con preghiera." (Cristiani oggi 1-15 Ottobre 1996)
Il culto dei morti non è un fatto esclusivamente cristiano. Esso ha la sua radice nella innata «religiosità» dell'uomo: nacque con l'uomo stesso. La storia e l'archeologia dimostrano che i riti funebri erano celebrati, presso tutti i popoli, da persone qualificate: sacerdoti, stregoni e capi tribù; secondo modalità, usi e costumi diversi. Nel mondo greco-romano e anche ebraico, era ritenuta cosa mostruosa lasciare un cadavere insepolto. Di fronte alla morte dovevano cessare gli odi, le vendette e le inimicizie: era doverosa una onorata sepoltura. Era comune e radicata convinzione che l'anima di un corpo insepolto non avrebbe trovato pace. Sarebbe stata condannata a vagare sopra la terra a danno dei viventi. I Padri della Chiesa combatterono questa superstizione che si protrasse a lungo, tanto che S. Agostino (+430) la ricorda e cerca di sfatarla. Anche oggi, dopo tanti secoli, in qualche paese di campagna o di montagna, si crede che durante i temporali notturni, le anime dei morti insepolti, vaghino per l'aria, recando calamità ai viventi. Oppure quando si vede un’improvviso vento che forma dei "mulinelli" che trascinano con sé le foglie cadute, qualcuno in Sicilia parla di "ammazza-mareddù" cioè delle anime dei "morti ammazzati" che non trovano riposo e vagano producendo queste piccole o piccolissime trombe d’aria.
I pagani ritenevano le tombe sacre e inviolabili perché custodite dagli dèi. Il diritto romano sancì tale sacralità affidando le tombe alla giurisdizione dei sacerdoti. Simile cultura entrò anche nella mentalità cristiana per cui, spesso, nelle epigrafi antiche si leggono delle «maledizioni» contro coloro che osassero violare il sepolcro. Oggi tutti i paesi civili assicurano, nella loro legislazione, il rispetto e l'inviolabilità dei cimiteri e delle singole tombe.
IL CULTO DEI MORTI NELLA RIVELAZIONE DIVINA
Una fruttuosa e cristiana visita al camposanto deve tener presente l'insegnamento della sacra Scrittura, rettamente inteso. Il comando di Dio al suo popolo, più volte ribadito, era perentorio: Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra (Es. 20,4). Fedele a un rigoroso «monoteismo», il popolo ebreo escluse ogni forma di culto che non avesse per oggetto l'unico vero Dio: quindi anche il culto dei morti.
La sacra Scrittura, fin dall'origine, ricorda il dovere della sepoltura per qualsiasi defunto: parente, nemico, pellegrino o forestiero che fosse. Vi si legge che lo stesso patriarca Abramo comperò un pezzo di terra in Ebron per la sepoltura della moglie, della propria e di quella dei suoi discendenti: Isacco e Giacobbe (Gn. 23,3ss.). Il libro del Siracide sottolinea l'obbligo della sepoltura con queste parole: Figlio, versa lacrime sul morto ..., poi seppelliscine il corpo secondo il suo rito e non trascurare la sua tomba (Sir. 38,16). Il dovere della sepoltura era così radicato nel popolo ebreo, che il pio Tobia interruppe il pranzo quando seppe che il corpo di un uomo strangolato giaceva insepolto sulla pubblica piazza. Andò a prelevarlo e lo portò sul suo letto per seppellirlo al tramonto del sole. L'arcangelo Raffaele ebbe a lodare la pietosa opera di Tobia (Tb. 12,13), come il re David, qualche secolo prima, aveva lodato coloro che avevano dato sepoltura al re Saul, sebbene fosse stato il suo persecutore (2 Sam. 2,5). Per queste ragioni la Chiesa considera la sepoltura dei morti una delle «opere di misericordia corporali».
Dai testi dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, si deve dedurre un importante insegnamento: la formula «culto dei morti» si presenta come ambigua e anche pericolosa. Pericolosa lo era specialmente per il popolo ebreo, costretto a vivere fra popoli politeisti e pagani, che spesso deificavano i loro morti, specie se «eroi», attribuendo loro un culto divino, con sacrifici e cerimonie corrispondenti. Da qui ebbero origine notevoli deviazioni di carattere religioso e cultuale, come dimostra la storia delle religioni. Dio, quindi, opportunamente, dissuase il suo popolo da ogni pratica cultuale verso i defunti, allo scopo di preservarlo da simili deviazioni e, nello stesso tempo, preservare la purezza del culto dovuto al solo e vero Dio.
Rapporto tra morte e peccato
Per avere un concetto adeguato della morte secondo l'insegnamento della Scrittura, è necessario evidenziare due verità da tener presenti nelle seguenti riflessioni. La prima verità, affermata con forza dalla parola di Dio, è questa: la causa della morte biologica non è Dio, ma il peccato dei progenitori. Infatti il secondo capitolo della Genesi mette in luce che Dio aveva creato l'uomo per la vita, e solo se avesse trasgredito il suo comando, sarebbe stato sottoposto alla legge della morte. Molto più tardi, il libro della Sapienza sintetizza questa importantissima verità con le seguenti parole: Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza tutti coloro che gli appartengono (Sap. 2,23s.). Anche l'apostolo Paolo, scrivendo ai fedeli di Roma, dichiara: Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato (Rm. 5,12).
La seconda verità, molto importante, riguarda la morte in rapporto al peccato attuale o personale. Da alcuni testi del Libro Sacro sembra che la vita lunga e felice sia il premio di una vita virtuosa; e, al contrario, la morte precoce sia la conseguenza di una vita dissoluta e peccaminosa. Ma l'autore del libro della Sapienza sottrae dal predetto giudizio alcuni casi concreti, per i quali vede la morte precoce come un provvidenziale intervento del Signore. Ascoltiamo le sue, parole: Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne traviasse l'animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice. Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio (Sap. 4,10-14). Questa parola di Dio è certamente di grande conforto a quanti piangono la morte immatura dei loro cari, a volte rapiti tragicamente senza loro colpa.
L'immortalità dell'anima
Dio creò l'uomo biologicamente immortale, ma il peccato limitò la durata della sua vita e la riempì di dolori e angosce come progressiva preparazione alla morte stessa. È impressionante vedere come gli autori sacri presentino la vita umana: una «goccia» nel mare, un «granello» di sabbia, un «sogno» che svanisce, un'«ombra» che passa, un «fiore» che marcisce, una «spola» che corre veloce... All'esperienza della vita fisica così presentata dalla Scrittura, fa luminoso contrasto l'alito di vita (Gen. 2,7) che, uscito dalla bocca di Dio, assicura l'immortalità all'uomo.
L'immortalità dell'anima, intesa come sopravvivenza nell'aldilà, è affermata con forza già nei più antichi libri della Scrittura. La Genesi ricorda che il patriarca Abramo si riunì ai suoi antenati (Gen. 25,8), le quali parole non si riferiscono alla tomba di famiglia, ma al regno dei morti dove le anime dei defunti si trovano riunite. Il Qoelet, uno degli ultimi libri dell'Antico Testamento, attesta che l'uomo se ne va nella dimora eterna per due strade: la polvere (il corpo) alla terra, come era prima, e lo spirito... a Dio che lo ha dato (Qo. 12,5.7). L'autore sacro del secondo libro dei Maccabei, afferma l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza nel mondo futuro, quando insegna che Dio, giusto giudice, darà una degna ricompensa a quanti fanno il bene e un meritato castigo a coloro che fanno il male. Giuda Maccabeo mandò i suoi uomini a raccogliere i cadaveri dei caduti in battaglia contro Gorgia. Nota il testo sacro: Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Allora Giuda, dopo aver esortato il popolo a mantenersi senza peccato, fece una colletta e raccolte circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio... suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti (2 Mac. 12,40-44).
Nello stesso libro sacro si racconta il martirio di sette fratelli uniti alla loro madre. Il fatto è certamente storico e le affermazioni dei protagonisti, davanti al feroce tiranno, testimoniano non solo le loro personali convinzioni, ma anche quelle di tutto il popolo ebreo in mezzo al quale vivevano ed erano stati educati. Il secondogenito rispose al re: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a una vita nuova ed eterna. Dello stesso tenore sono le affermazioni del quarto giovane: È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati... Meravigliose, poi, sono le parole con le quali la coraggiosa madre esortava i suoi figli: Senza dubbio il Creatore del mondo che ha plasmato all'origine l'uomo ed ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita... Rivolgendosi, poi, al più giovane dei figli, diceva: Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere, insieme con i tuoi fratelli, nel giorno della sua misericordia (2 Mac. 7).
L'immortalità dell 'anima, la conseguente felicità dei giusti e il castigo dei cattivi, sono cantati dall'autore del libro della Sapienza: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza una rovina, ma essi sono in pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena d'immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà sempre su di loro (Sap. 3,1-8). La rivelazione divina dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, proclama a una voce che il peccato ha condannato l'uomo alla morte biologica, ma non a una totale distruzione o un ritorno nel nulla. L'alito di vita che vivifica il corpo durante il suo pellegrinaggio terreno, è la «scintilla divina» che gli assicura una nuova vita nel regno di Dio, quando la redenzione di Gesù rinnoverà tutto il creato. Così davanti al mistero della morte e soprattutto del dopo-morte, la parola di Dio è preziosa, confortatrice e ricca di speranza per noi pellegrini verso il camposanto.
LA RESURREZIONE DEI MORTI NEL NUOVO TESTAMENTO
Se l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza dopo la morte, è affermata, direttamente o indirettamente, in tutti i libri dell'Antico Testamento, la risurrezione dei corpi è una verità che solo la pienezza della rivelazione di Gesù presenta con chiarezza e certezza assolute. Dell'Antico Testamento, oltre le affermazioni del libro dei Maccabei già riferite, è opportuno ricordare le parole del profeta Daniele, forse le più chiare di tutte. Eccole: Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre (Dn. 12,2-3). Vi sono anche altri testi, ma oscuri e di dubbio significato; da ciò si comprende perché i Sadducei, ricordati nel Vangelo, non credessero alla risurrezione dei morti (Mt. 22,23).
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