La Quaresima catechesi significato commento - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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La Quaresima catechesi significato commento

Catechesi terza parte
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QUARESIMA

LE TENTAZIONI, di don Marco Ceccarelli


1. Il ritorno alla terra.
- Il peccato primordiale. La prima domenica di quaresima presenta sempre le tentazioni di Gesù nel

deserto. Però in questo anno “A” si sottolinea, attraverso le prime due letture, il legame con la tentazione e il peccato delle origini. La prima lettura ci dice che l’essere umano, creato dalla “polvere della terra” (Gen 2,7), è sottoposto alla tentazione di non accettare la sua condizione di creatura. Il “limite” che Dio pone all’uomo rivela, appunto, tale condizione creaturale. Essere creature significa necessariamente avere dei limiti. Ed è proprio nel riconoscimento e nel rispetto di tali limiti che la creatura umana sarà in grado di non morire. La tentazione del serpente invece spinge l’uomo a non accettare tali limiti, a non accettare cioè di essere creatura, dipendente da Dio, e di volere invece essere come Lui. Infrangendo il limite l’uomo e la donna si arrogano il diritto di essere come Dio.
Questo è l’inizio dell’infelicità umana, ciò che causa la perdita del giardino che simboleggia la comunione con Dio. Fuori dalla comunione con Dio, a causa del peccato, l’uomo è condannato alla
infelicità. Però Dio stesso gli mostra la via del “ritorno”, della conversione.
 

- «Polvere tu sei e in polvere tornerai» (Gen 3,19). Questo non è soltanto l’annuncio della morte e
della corruzione corporea. È anche l’indicazione della strada per il ritorno a Dio. La conversione, il
ritorno per l’uomo consiste nel volgersi a quella polvere della terra con cui è stato formato (Gen
2,7). Tornare alla terra significa prendere coscienza che l’essere umano (’adam) non è altro che terra (’adamah), e quello che ci dà vita è il “soffio vivente di Dio” (Gen 2,7); e quindi senza di Lui
non c’è vita in noi. Nel momento in cui Dio si riprende il Suo soffio l’uomo ritorna da dove è venuto (Gb 34,14-15; Qo 12,7).
 
Tornare alla terra significa riconoscere che l’uomo non esiste e non può vivere senza Dio.
 
 
Senza il Creatore la creatura scompare (Gaudium et spes 36). Allora il ritorno alla terra acquista un valore altamente simbolico in riferimento alla conversione. Occorre continuamente tornare nella nostra dimensione creaturale da dove ci siamo voluti innalzare al livello di Dio.
 

È l’accettazione coraggiosa della nostra estrema precarietà, il riconoscimento che i nostri giorni non
sono che un soffio, che tutto va verso la morte. La strada del ritorno a Dio e quindi della salvezza
per l’uomo passa dal recupero della sua dimensione creaturale.
 
 
Le ceneri che si ricevono all’inizio della quaresima ci dicono proprio questo.
 

- Però tornare alla terra significa anche morire. Perciò la penitenza chiama l’uomo alla morte.
Quando ci capita una mortificazione essa ci riporta improvvisamente alla realtà della nostra condizione.
La mortificazione, il dare morte a noi stessi, è un invito ad accettare la nostra creaturalità; è il
richiamo costante alla verità di quello che siamo. È ritornare già oggi alla polvere della terra; è
l’accettazione della nostra totale dipendenza da Dio e la preparazione all’incontro con Lui. Solo così l’uomo può scoprire la sua grandezza.
 
 
Può scoprire che, nonostante il suo essere nulla, Dio lo ha fatto poco meno degli angeli (Sal 8,6). Solo così può ritrovare qualcosa di quel paradiso che ha perduto a causa della sua dimenticanza della sua condizione “terrena”. La quaresima, le ceneri, il pentimento, il digiuno, in altre parole, il ritorno alla terra, riportano in qualche modo l’uomo alla primitiva comunione con Dio, facendogli riscoprire Colui che l’ha plasmato dalla polvere della terra, e dalla polvere della terra lo risveglierà (Dn 12,2).
 

- La conversione consiste allora innanzitutto nella presa di coscienza della propria realtà. Per questo
la penitenza comincia nel momento in cui comincia il peccato; dal momento in cui il peccato entra
nel mondo, deve entrare anche la penitenza. La penitenza serve a convertirsi, cioè a ritornare indie-
tro. E ritornare indietro non soltanto verso Dio, ma anche verso la nostra dimensione creaturale,
verso l’accettazione del nostro essere “polvere dalla terra”. Caino, chiamato alla penitenza, non ritorna indietro perché non accetta la mortificazione, non accetta il comportamento di Dio, volendo
affermare una sua giustizia. Quando l’uomo non accetta la sua condizione creaturale sente come
una ingiustizia l’essere privato di qualche cosa. Se muore un figlio, se si incrina la salute, se perdiamo qualcosa di prezioso, avvertiamo tale perdita come una ingiustizia. Ma dietro a ciò c’è
l’erronea concezione che io sono padrone di qualcosa, in fondo che sono dio.
Caino riflette questo atteggiamento; e la conseguenza è l’uccisione del fratello. Se l’uomo pensa di essere Dio agisce come se fosse Dio. Non di rado ci assale una specie di delirio di onnipotenza, viviamo come se non ci fossero limiti. Poi però arrivano situazioni che, di colpo, ci rivelano tutta la nostra impotenza; e di queste situazioni la più evidente è la morte. Soltanto la penitenza ci permette di accettare di non avere il controllo delle situazioni. La penitenza ci riporta alla verità dell’estrema precarietà della nostra esistenza.
 

2. Il Vangelo.

- Il deserto. Dopo il peccato la terra diventa un luogo ostile all’uomo. Il deserto simboleggia nel migliore dei modi questo stato di ostilità. Il deserto è esattamente il contrario del “paradiso”, del giardino in cui Dio aveva posto l’uomo; esprime perciò la condizione di ostilità del suolo dovuta al peccato originale (Gen 3,17). Avendo perso il giardino, avendo rotto con Dio, l’uomo si trova a sperimentare tutta la sua debolezza di creatura. E nel deserto l’uomo sperimenta la presenza di un satana che gli è accovacciato alla porta e che deve imparare a dominare (Gen 4,7). Gesù entra in pieno in questa realtà umana, con tutti i suoi limiti e segnata dal peccato (Eb 2,17-18; 4,15). Egli si carica di tutto ciò che significa essere uomo, cominciando dall’esperienza del deserto e della tentazione. Con Gesù si realizza la promessa di una inversione degli effetti del peccato originale annunciato in Is 51,3: «Il Signore renderà il deserto come l’Eden, e la sua desolazione come il giardino del Signore».
 

Gesù è così il nuovo Adamo che ci riapre la via al giardino perduto.
- La tentazione. Nei Vangeli soltanto Gesù è sottoposto ad “essere tentato” (peirazo; cfr. Mt 16,1;
19,3;22,18; ecc.), mentre i discepoli sono in pericolo di cadere nella “tentazione” (peirasmos; cfr.
Mt 26,41; Lc 22,31.40). Gesù si sottopone alla tentazione perché questa è la realtà tipica dell’esistenza
umana. L’essere tentato di cui si parla nel Vangelo non ha il nostro significato di stimolo della
concupiscenza. È piuttosto la prova, la difficoltà, insita nella nostra condizione di creature. L’essere
creatura, e quindi non essere Dio, implica la precarietà, la sofferenza, la morte. Implica un limite;
quel limite che i progenitori hanno rifiutato disobbedendo a Dio. Infatti è nel rifiuto della condizione umana che ruota ogni forma di tentazione da parte del demonio. Nella “prova”, che fa parte della precarietà della condizione umana, si inserisce la “tentazione” di rifiutare tale precarietà. Le tre tentazioni narrate dal Vangelo presentano, in fin dei conti, l’invito ad evitare la sofferenza, rifiutando la volontà di Dio. Il demonio/satana invita Gesù a “cambiare strategia”, a percorrere una strada diversa da quella prevista da Padre. Così come – inconsapevolmente – lo inviterà a fare Pietro/“satana” (Mt 16,23) e Giuda/“satana” (Lc 22,3). Gesù rinuncia al potere umano e a quello divino per evitare di soffrire; ora che ha fame, come in seguito quando affronterà la croce.
 
 
L’alternativa a questa rinuncia sarebbe una continua fuga – in balia delle seduzioni del demonio (cfr. Lc 22,31) – dalla sofferenza e dalla morte, che tuttavia inevitabilmente ci vincerà. Gesù invece entra in questa dimensione accettando, prima di iniziare la missione pubblica che il Padre gli ha affidato, tutto quanto comporta l’essere uomo. Pur essendo Dio, egli si fa uomo con tutto ciò che esso comporta (Fil 2,6-8).
 

3. Il tutto è in funzione della Pasqua. La quaresima non è fine a se stessa, ma una preparazione alla Pasqua. Non soltanto alla Pasqua annuale, ma soprattutto a quella ultima e definitiva che è
l’ingresso nella casa del Padre. Per questo la quaresima è un simbolo, un “sacramento” (Colletta
della Messa) dell’intera esistenza terrena. Il deserto ha costituito per Israele il periodo di preparazione alla terra promessa. Dio ha portato volutamente il popolo nel deserto perché imparasse la fede (Es 13,17). Quindi il deserto non è né un inconveniente, né fine a se stesso, ma necessario in funzione della terra promessa, come la quaresima è orientata al tempo di Pasqua. Il tempo di quaresima e quello di Pasqua costituiscono i due aspetti dello stesso mistero, vale a dire il mistero pasquale.
 
Il mistero pasquale ha due aspetti, la passione (e morte) e la risurrezione (e glorificazione) di Cristo.
Sono i due aspetti dell’unico mistero che celebriamo nel triduo pasquale. Il tempo che va dal mercoledì delle ceneri alla Pentecoste celebra questo unico mistero nei suoi due aspetti.
 


81. - QUARESIMA E QUINQUAGESIMA

1. Tutto l’insegnamento della sapienza, teso all’istruzione degli uomini, consiste nel riconoscere il Creatore e la creatura, venerando la sovranità del primo e confessando la dipendenza della seconda. Ma il creatore è Dio, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose 1; è dunque la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. La creatura, invece, parte è invisibile, come l’anima; parte visibile, come il corpo. All’invisibile si riferisce il numero tre. Per questo ci viene comandato di amare Dio in tre modi: con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente 1. Al corpo [si riferisce] il numero quattro a ragione della sua composizione ben evidente, cioè caldo e freddo, umido e secco. Alla creatura, nel suo complesso, si assegna pertanto il numero sette. In definitiva tutta la scienza, che riconosce e distingue Creatore e creatura, è indicata dal numero dieci. Questa scienza, in quanto viene indicata dai movimenti dei corpi nel tempo, si fonda sulla credenza e, con l’autorità degli eventi che vanno e vengono, nutre a mo’ di latte i piccoli per renderli idonei alla contemplazione, che non va e viene, ma resta per sempre. In tale condizione chiunque persevera con fede nelle cose che gli sono state narrate e realizzate nel tempo da Dio per la salvezza degli uomini o che vengono predicate come ancora da avverarsi in futuro, e spera nelle promesse e si preoccupa di compiere con infaticabile carità ciò che l’autorità divina comanda, condurrà rettamente la vita presente soggetta alla necessità e al tempo, simboleggiata col numero quaranta. Infatti il numero dieci, che sintetizza tutta la scienza, moltiplicato per quattro, cioè per il numero attribuito al corpo - dato che il processo si svolge con i moti dei corpi ed è, come si è detto, il campo della fede - fa quaranta. E così si ottiene la sapienza stabile e indipendente dal tempo, che è rappresentata dal numero dieci, in modo da aggiungere dieci a quaranta: poiché anche le parti uguali del numero quaranta, prese insieme, fanno cinquanta. Il numero quaranta ha infatti parti uguali: innanzitutto quaranta volte uno, poi venti volte due, dieci volte quattro, otto volte cinque, cinque volte otto, quattro volte dieci, due volte venti. Ora dunque la somma di uno, due, quattro, cinque, otto, dieci e venti fa cinquanta. Pertanto come il numero quaranta, addizionando le sue parti uguali, dà una decina in più e diventa cinquanta, così il tempo della fede nelle cose avvenute e da adempiere per la nostra salvezza, vissuto rettamente, ottiene l’intelligenza della sapienza invariabile, sicché la scienza si consolida non solo con la fede ma anche con l’intelligenza.

2. Per questo motivo la Chiesa del tempo presente, sebbene siamo già figli di Dio, per quanto non appaia ancora ciò che saremo, opera in mezzo alle fatiche e alle sofferenze e in essa il giusto vive di fede
1: Se non crederete - è detto - non capirete 1. È questo il tempo in cui gemiamo e sopportiamo in attesa della redenzione del nostro corpo 1: è il tempo celebrato dalla Quaresima. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è lt 1: quando al quaranta si aggiunge il dieci, non solo meriteremo di credere ciò che appartiene alla fede ma anche di comprendere la piena verità. Ecco la Chiesa futura, in cui non vi sarà più alcuna afflizione né mescolanza di uomini cattivi, nessuna malizia ma letizia, pace e gioia. Essa è simboleggiata dalla celebrazione della Quinquagesima. Pertanto, dopo la risurrezione di nostro Signore da morte, trascorsi quaranta giorni coi suoi discepoli - con questo numero è simboleggiata la stessa economia temporale confacente alla fede -, è asceso al cielo lt 1 e, passati altri dieci giorni, ha mandato lo Spirito Santo lt 1: ossia a quaranta si è aggiunto dieci al fine di contemplare non le cose umane e temporali ma le divine ed eterne con il soffio e il fuoco dell’amore e della carità. Ecco perché bisogna segnalare tutto l’insieme, cioè il numero di cinquanta giorni, con una celebrazione festosa.
3. Nostro Signore ha indicato questi due tempi, uno di fatica e di preoccupazione, l’altro di gioia e di sicurezza, anche con le reti gettate in mare. Prima della passione si parla infatti della rete gettata in mare: aveva preso tanti pesci che a mala pena si riusciva a trarla a riva e quasi si rompeva
Non era stata gettata a destra: la Chiesa attuale infatti raccoglie anche molti cattivi; però non è stata gettata neppure a sinistra: raccoglie infatti anche i buoni; ma qua e là, ad indicare la mescolanza di buoni e cattivi. Dicendo poi che le reti si rompevano, indica che, ferita la carità, sono sorte molte eresie. Ma dopo la risurrezione, volendo indicare la Chiesa dei tempi futuri, dove tutti saranno perfetti e santi, ha comandato di gettare le reti dalla parte destra: furono presi centocinquantatre grossi pesci con grande meraviglia dei discepoli, perché pur essendo tanto grossi, le reti non si erano rotte 1. La grossezza dei pesci indica la grandezza della sapienza e della giustizia; il numero simboleggia invece la scienza comprendente tanto la condizione temporale quanto l’eterna rigenerazione, la quale, come abbiamo detto, è simboleggiata dal numero cinquanta. Allora, poiché non ci sarà bisogno di sostegni materiali, la fede e la sapienza saranno contenute nell’animo; poiché all’animo si attribuisce, come si è detto, il numero tre, moltiplichiamo per tre il cinquanta e abbiamo centocinquanta. A questo numero si aggiunge la Trinità, perché tutta la perfezione è consacrata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e così si ha centocinquantatre, che è il numero dei pesci presi dalla parte destra.



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Il mondo ha bisogno di un richiamo forte al valore della quaresima; tre sono le realtà che dominano il nostro cammino quaresimale:
LA CROCE, abbracciata da Cristo, è altare dove Lui si offre ed offre se stesso al Padre per la salvezza dell’uomo.
La CROCE diventa il cuore e il centro della nostra vita cristiana. Essa è il segno del nostro MORIRE PER VIVERE. Ce lo insegna Gesù: “Se il grano di frumento cadendo a terra non muore, resta solo. Se muore, rinasce moltiplicato”.

In questo insegnamento c’è la grande legge del cammino quaresimale: BISOGNA MORIRE PER VIVERE, cioè, la vita nasce e sboccia dove c’è la morte. Bisogna morire all’egoismo, alla superbia, al proprio “io”, a tutto ciò che non piace a Cristo, a tutto ciò che c’è di mondano dentro e fuori di noi:… la concupiscenza della carne, degli occhi, della vita. (vedi mappa sito)

LA SECONDA DIMENSIONE: LA PENITENZA! Ossia, l’esigenza di una continua conversione di una costante verifica evangelica da fare con forza e costanza.
Penitenza, significa: mutamento totale, rinnovamento intimo del cuore, del sentire, del giudicare, del vivere…
Il membro del Movimento Laicale Passionista non potrà dire di vivere lo spirito della quaresima solo perché si fa carico di determinate pratiche di pietà, come la Messa, la “Via Crucis”, il digiuno, l’astinenza, la carità verso il povero…
Queste pratiche concrete, sono valide nella misura in cui sono espressione del CAPOVOLGIMENTO INTERIORE della propria situazione. (vedi mappa sito)

Dobbiamo prendere coscienza che la QUARESIMA è tempo di CONVERSIONE. Purtroppo per troppo tempo abbiamo accantonato il valore della Quaresima come tempo e ambiente di conversione.
La nostra attuale pratica quaresimale non presenta molti stimoli alla conversione. Se vogliamo essere autentici “cristiani” dobbiamo svegliare in noi e alimentare di continuo la conversione al Vangelo della passione di Gesù. La Quaresima deve divenire tempo favorevole, occasione per riscoprire che la Pasqua si celebra dove c’è un cuore pentito e rinnovato, libero e convertito.
LA TERZA DIMENSIONE: LA VOCAZIONE BATTESIMALE. Oggi, anche tra noi cosiddetti “cristiani praticanti” c’è una grave ignoranza religiosa sul battesimo. Riscoprire il battesimo , deve diventare la preoccupazione più impegnativa sempre, ma specialmente nella Quaresima.
Il Battesimo ha cambiato totalmente la nostra condizione. E’ un “dono divino” e comporta esigenze divine di vita; è rinascita e comporta, esige, “novità di vita”  è liberazione dal peccato e perciò esclude ogni compromesso con il male; è incorporazione alla Chiesa e perciò impegna a una comunione di vita e di solidarietà con i fratelli; è speranza della gloria futura perciò deve orientare la vita nostra verso il ritorno glorioso del Signore.

LE PRATICHE DA VIVERE NELLA QUARESIMA: San Paolo della Croce ai passionisti del suo tempo consigliava tre pratiche religiose per la Quaresima: IL DIGIUNO, LA PREGHIERA, LA CARITA’.

- IL DIGIUNO. Il digiuno, la sofferenza, il sacrificio, l’abnegazione devono far parte del nostro cammino quaresimale. Se non pratichiamo la CROCE, se non acconsentiamo amorosamente alla croce, non possiamo celebrare la Pasqua del Signore. Dobbiamo, come cristiani, praticare il digiuno e quanto è connesso ad esso: il sacrificio, la sofferenza, l’abnegazione…
San Paolo   della croce nell’indicare le pratiche penitenziali della Quaresima, mirava a creare uno stilo penitenziale omogeneo, comunitario, unitario.

Dobbiamo, dietro questa pedagogia di Paolo della Croce, assumere collettivamente, come “cristiani” uno stile uniforme di penitenza quaresimale.
Vi pare fuori posto ricordare quanto adempivano i primi passionisti?
Tre volte la settimana si astenevano dalle carni; si privavano di incontrare persone esterne; trascorrevano i quaranta giorni di Quaresima nel silenzio, nella solitudine del ritiro, nella contemplazione della passione di Gesù, si prestavano nei servizi più umile della comunità, come lavare  i piatti o le pentole, chiedere in refettorio ai confratelli il pane da mangiare, ecc.. Si privavano di parlare per l’intera giornata in tempi programmati dal superiore; si esercitavano nel disprezzo di se stessi, prostrandosi a terra e chiedendo la carità di raccomandarli alla divina misericordia. Non dico che noi dobbiamo ripetere quelle pratiche… però la pratica dello spirito di quelle penitenze possiamo attuarla. Non vi pare?!

LA PREGHIERA. Per preghiera San Paolo della croce intendeva tutto ciò che aiutava l’anima del religioso a vivere con Dio. Ricordava che tutta la vita spirituale consisteva nello stare uniti a Gesù e indicava anche i mezzi per realizzare tale unione: la meditazione sulla passione del Signore; la Via Crucis, la visita prolungata al SS/mo Sacramento, l’allontanamento di tutto ciò che potesse distogliere dall’unione con Dio; la purità d’intenzione in ogni cosa che si faceva; la moltiplicazione durante la giornata degli atti di unione e di offerta a Gesù crocifisso; andare col pensiero alle ore drammatiche della passione di Gesù, a cominciare dal Getsemani fino alla morte in croce.

CARITA’. San Paolo della croce considerava la carità il distintivo dei suoi passionisti. E voleva che l’attingessero dalla croce, perché sulla croce si manifesta la suprema prova dell’amore. Diceva che la carità prolunga nella comunità la presenza di Gesù e sospinge la stessa a farsi carico di amore per quelli che non hanno amore.


Padre Eugenio Circo (Passionista)

Continua...




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