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Gesù e Fratelli sorelle - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Gesù e Fratelli sorelle

Risposte Veloci
FRATELLI DI GESU'


Il finchè che si ferma, non va oltre....

Per approfondire questo argomento vi invito a scaricare gratuitamente il testo completo che trovate nella sezione confutazione al protestantesimo alla voce Fratelli di Gesù.
Gesù non ebbe né fratelli né sorelle.
Ho accennato che il termine “fino a che” veniva usato abitualmente dagli ebrei, questo termine non lascia intendere che dopo lo
stato dei fatti sia cambiato, come quando Giuseppe non si accostò a Maria “fino a che” ella non ebbe partorito; come anche nel Salmo 110,1
Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
Anche qui vediamo usato il termine “finché”, se dovremmo ragionare secondo la logica protestante allora dovremmo pensare: dopo che il Padre ha posto i nemici di Gesù come sgabello dei suoi piedi, Gesù cesserà di sedere alla Sua destra. Ecco perché si devono conoscere il linguaggio e i modi di espressione degli ebrei di quei tempi, altrimenti si fa dire alla Bibbia ciò che non dice, il “finché non prova ciò che succede dopo, ma si ferma, non va oltre.
Es 15,14-16
Hanno udito i popoli e tremano; dolore incolse gli abitanti della Filistea. Già si spaventano i capi di Edom, i potenti di Moab li prende il timore; tremano tutti gli abitanti di Canaan. Piombano sopra di loro la paura e il terrore; per la potenza del tuo braccio restano immobili come pietra, finché sia passato il tuo popolo, Signore, finché sia passato questo tuo popolo che ti sei acquistato.”

Dopo che sia passato il popolo di Dio i capi di Edom e di Moab non tremeranno più davanti alla  potenza di Dio?
Il termine “finché” nella Bibbia viene usato in diverse circostanze, ma quando c’è un seguito  questo viene indicato, o in ogni caso risulta chiaro è lampante il suo significato.
Es 33,21 “Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”.
Qui il Signore precisa cosa accade dopo il “finché” infatti dice che dopo toglierà la sua mano e Mosè potrà vedere le sue spalle.

Basterebbe analizzare la Bibbia parola per parola, senza correre sui versetti, meditandola, soffermandosi a riflettere, mettendo da parte i pregiudizi e ragionando con obiettività.
Ad esempio, quando Mosè passava per il villaggio diretto verso la tenda i suoi compatrioti stavano ognuno affacciati davanti all’ingresso della propria tenda, ma quando Mosè entrava essi continuavano a stare affacciati, altrimenti non si spiegherebbe come vedessero “la colonna di nube” che stava all’ingresso della tenda sacra, dato che essa scendeva dopo che Mosè entrava nella tenda. Eppure anche in questo episodio viene usato il termine “finché”, poi dai versetti seguenti si capisce che in effetti restavano affacciati ognuno davanti l’ingresso della propria tenda e si prostravano in adorazione dello Spirito di Dio, ma sono i versetti seguenti a chiarirlo e non il termine finché!
Es 33,8 Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: guardavano passare Mosè, finché fosse entrato nella tenda. 9Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda.”

Se dovessimo usare il termine finché secondo la logica protestante, dovremmo dedurre che il popolo restava all’ingresso della propria tenda, guardando passare Mosè, finché fosse entrato nella Tenda sacra. Poi ognuno rientrava nella propria tenda ritornando a occuparsi delle
faccende personali. Ma così non accadeva, perché tutto il popolo vedeva la colonna di nube, e si prostravano all’ingresso della propria tenda.
Anche in Lv 8,33 si capisce chiaramente cosa accade dopo il “finché” infatti è chiaro e lampante che l’investitura durava sette giorni, passati i quali potevano uscire:
Per sette giorni non uscirete dall’ingresso della tenda del convegno, finché cioè non siano compiuti i giorni della vostra investitura, perché la vostra investitura durerà sette giorni.”
In questi casi quello che accade dopo il finché viene spiegato, oppure si capisce chiaramente.
Il “finché”  usato da Matteo al capitolo 1,25 vuole soltanto dimostrare che la nascita di Gesù fu un evento soprannaturale, e a scanso di equivoci Matteo sottolinea che s. Giuseppe non si accostò a Maria finché ella non ebbe partorito. Qui Matteo sta puntualizzando che Giuseppe non ebbe concorso alla nascita di Gesù, perché egli non si accostò mai a Maria durante la sua gravidanza, ma non prova affatto che dopo lo fece. Come il tempo che indica il finché è infinito nel Salmo 110,1 “Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Così è pure nel versetto di Matteo 1,25. Gesù infatti siede alla destra del Padre in eterno, quindi quel finché indica un tempo infinito, la stessa cosa accade nel Vangelo secondo Matteo.
Altri esempi che fanno capire l’uso che gli ebrei facevano del termine finché non delimitando il suo effetto in un arco di tempo, ma usandolo all’infinito. (Matteo era un ebreo che scrisse per gli ebrei):
Dt 4,10 “Ricordati del giorno in cui sei comparso davanti al Signore tuo Dio sull’Oreb, quando il Signore mi disse: Radunami il popolo e io farò loro udire le mie parole, perché imparino a temermi finché vivranno sulla terra, e le insegnino ai loro figli”

Dopo che non vivranno sulla terra forse non temeranno più il Signore?
Dt 31,12-13 “Radunerai il popolo, uomini, donne, bambini e il forestiero che sarà nelle tue città, perché ascoltino, imparino a temere il Signore vostro Dio e si preoccupino di mettere in pratica tutte le parole di questa legge. I loro figli, che ancora non la conoscono, la udranno e impareranno a temere il Signore vostro Dio, finché vivrete nel paese di cui voi andate a prendere possesso passando il Giordano»”.
Appena non vivranno più nel paese oltre il Giordano oppure se perderanno possesso di quelle terre cesseranno forse di temere il Signore?
Ecco alcuni versetti in cui quello che accade dopo il finché viene chiarito:
Sam 1,22-24  Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Le rispose Elkana suo marito: «Fà pure quanto ti sembra meglio; rimani finché tu labbia divezzato; soltanto adempia il Signore la tua parola». La donna rimase e allattò il figlio, finché lebbe divezzato. Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni,
un
efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro.

Qui il finché viene ampiamente chiarito e non lascia alcun dubbio su quello che accade dopo.
Sam 10,5 “Quando fu informato della cosa, Davide mandò alcuni incontro a loro, perché quegli uomini erano pieni di vergogna. Il re fece dire loro: «Restate a Gerico finché vi sia cresciuta di nuovo la barba, poi tornerete”.
Anche qui si capisce chiaramente che cosa accade dopo il “finché”, nella Bibbia ci sono comunque altri versetti dove il significato è meno chiaro, ma leggendo tutto il contesto e i capitoli seguenti si capisce cosa accade dopo il finché. Leggendo i capitoli seguenti la nascita di Gesù si capisce soltanto che il termine “fratello” veniva usato in un senso molto ampio dagli ebrei, e che mai viene detto “Maria e gli altri suoi figli”, come ho detto prima, abbiamo già visto in modo preciso e inequivocabile chi erano i fratelli di Gesù.“Non conosco uomo” di Maria all’angelo dimostra la sua ferma volontà di rimanere sempre vergine, per voto fatto, come consacrata a Dio, come “eunuca” per il regno dei cieli.
Altrimenti la frase di Maria non avrebbe senso, visto che era fidanzata con Giuseppe,
e normalmente due fidanzati si sposano, Maria una volta sposata avrebbe potuto benissimo concepire un figlio con Giuseppe, invece lei questa ipotesi non la considera nemmeno.

Ella dice “io non conosco uomo” se Maria si riferiva al suo stato temporaneo di verginità, avrebbe potuto dire “fino ad ora non conosco uomo”, ma il senso di meraviglia rimarebbe fuori posto. Invece lei che si era consacrata al Signore, si stupisce dell’affermazione dell’angelo, perché non voleva conoscere uomo, e perché avendo fatto voto al Signore dava per scontato che Dio sapeva di questo. In effetti Dio sapeva, ma la Sua volontà era diversa da quella di Maria, e lei in tutta umiltà e fedeltà l’ha accetta, sottomettendosi al volere di Dio. Una ragazza di oggi, non si meraviglierebbe sentendosi dire che concepirà un figlio, perché è normale che prima o poi si sposerà, soprattutto se già è fidanzata, penserà normalmente alla procreazione da donna sposata, che in seguito al rapporto d’amore con suo marito potrà concepire uno o più figli. In questo caso la meraviglia non avrebbe senso, lo stupore scaturisce da un fatto che va fuori dalle regole umane, e queste legavano Maria al suo voto di verginità consacrata al Signore.

Maria invece si meraviglia, perché si era consacrata a Dio nella verginità perpetua.
La Scrittura vuol dimostrare che il Bambino Gesù non è stato concepito mediante il concorso umano, e basta, tutto il resto sono solo fantasie.
Ma leggiamo ancora:
In 2 Sam 6,29 “Micol figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte” E’ certo che Micol non ebbe figli neppure dopo la sua morte…
Ancora una volta notiamo come il termine “fino a che” che ha lo stesso identico significato di “finché” (fino a quando) veniva abitualmente usato dagli ebrei, era un loro modo di parlare, un loro modo di esprimersi.
E’ giusto puntualizzare che molte analisi e puntualizzazioni qui presenti sono riscontrabili negli scritti di fra Tommaso Maria di Gesù, dei frati minori rinnovati di Palermo, il quale mi ha molto aiutato con il suo libro Bibbia e cristiani a confronto.
L’archeologia ha scoperto (1922) una iscrizione greca di un cimitero giudaico dell’Egitto
nella necropoli ebraica di Tell el-Jehudi, presso Leontopolis, in Egitto, fu scoperta una
lapide, su di essa una donna di nome Arsinoe ricorda (5° sec. a.C.) che dice: “La sorte mi condusse al termine della vita nel dolore del parto del mio primogenito figlio”.

(Testo pubblicato da J.B. Frey, Biblica, 11 (1930), pp. 369-390, cit. da Alain de Benoist)
Questa donna dopo la morte ebbe forse altri figli?
Oppure anche questo ritrovamento prova che la parola primogenito veniva abitualmente usata per indicare i diritti legali e onorifici del primo figlio, anche se questo rimaneva unico e solo figlio?
Vi prego, aprite gli occhi, dischiudete i vostri cuori, riflettete serenamente su tutte queste prove bibliche che magari mai prima d’ora avevate meditato.

Abbiamo visto che il termine usato da S. Paolo per indicare Barnaba cugino di Marco è la parola greca "anepsiòs". Da ribadire che "anepsiòs" non ha il significato stretto di cugino, ma quello più generico di parente, che può includere anche quello di cugino.
Etimologicamente richiama il latino "nepos" che è un termine con un significato più ampio e non quello di "nipote", come sembrerebbe dalla parola italiana. In italiano adoperiamo la parola "parente" con significato molto ampio, mentre in latino i "parentes" sono i soli genitori. Per convincerci ancora meglio, nel N.T. ci sono molti passi che confermano quello che sto dimostrando. Qualche esempio:
In Gv 20,17 "fratelli" sono i discepoli
In Mt 25,40 i "fratelli" sono "tutti gli uomini"
In Mt 28,10 Gesù chiama "fratelli" i suoi apostoli e discepoli.
In Gal 1,18-19 Giacomo che è figlio di Alfeo (Mt 10,3) viene indicato da Paolo come "fratello del Signore", ossia come appartenente alla sua parentela.

- Nel vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci (sotto la voce anepsios) è detto che anepsios significa congiunto, parente, e frequentemente cugino, nipote e anche lontano parente. in effetti, la parola nepos (= nipote) deriva da anepsios. Marco ad esempio poteva essere anche nipote o lontano parente di Barnaba e quest’ultimo sicuramente non era un parente stretto di Paolo visto il termine utilizzato per identificarlo.
Come promesso all’inizio analizziamo meglio la parola fratello all’interno del contesto biblico.
Nella Bibbia troviamo ancora molti esempi di come veniva usata la parola fratello e che cosa significava.
In Fil. 2,25 Paolo dice:
"Ho ritenuto necessario per ora mandare da voi Epafrodito, mio fratello, collaboratore e compagno d’armi, vostro inviato e assistente nelle mie necessità,"
Da queste parole, ad essere fiscali, come lo vogliono essere spesso i protestanti, potrebbe sembrare che Paolo avesse un fratello, ma da un esame storico si evince che Paolo non aveva fratelli carnali di nome Epafrodito, quest’ultimo era infatti un discepolo filippese che aiutò Paolo nelle sue necessità. Anche i pentecostali non nutrono dubbi sul fatto che Paolo non avesse un fratello carnale, semplicemente perché il loro pastore non glielo ha mai menzionato, perché di prove storiche non ne cercano affatto, né si sforzano di contestualizzare la parola fratello, ove riferita a Gesù.  
Per cui quando Paolo usa la frase "degli Apostoli non vidi altri, se non Giacomo il fratello del Signore", subito i protestanti "capiscono" che si trattava di un fratello uterino. Le Sacre Scritture vanno analizzate in maniera seria e approfondita, non dando credito a questo o a quello, ma confrontando ogni cosa. Più avanti approfondiremo ancora la figura di Giacomo il fratello del Signore,  nonostante abbiamo già dimostrato chi fosse. Abbiamo visto che gli ebrei quando dovevano indicare un fratello carnale usavano precisarlo, dicendo "figlio di mia madre, o figlio di mio padre" dato che presso ogni comunità protestante e/o pentecostale viene insegnato che ogni verità viene confermata da due o tre versetti, e Gilles nel suo libro riporta proprio tre episodi del V.T., mi sembra opportuno vedere se nella Bibbia troviamo un numero sufficiente di versetti che avvalorano quanto fin qui abbiamo asserito,  ecco alcuni esempi:
Dt 13,7 "Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre…"

Che bisogno c’era di specificare "figlio di…" se la parola fratello significava solo e soltanto fratello carnale?
E’ questo il primo dei versetti, stranamente ignorati dal Gilles.
Se io devo indicare mio fratello di certo non preciso che anche lui è figlio di mio padre e di mia madre, dico soltanto "è mio fratello", gli ebrei come abbiamo più volte visto lo precisavano perché nel loro modo di esprimersi la parola "fratello" se non precisata poteva essere fraintesa, indicando nella maggior parte dei casi solo fratelli di fede, membri dello stesso clan, compaesani, compatrioti. E’ palese quindi che un ebreo per indicare un fratello di sangue aggiungeva (e aggiunge tutt’ora) sempre "figlio di mia madre, o di mio padre".
Il protestante Gilles continua scrivendo a pag. 31: "In nessuna parte del testo greco dei Vangeli si trova la parola <<unico>> (<<figlio unico>>) a proposito della filialità di Gesù rispetto a Maria. Questo è certo."
Certamente che è vero, ma abbiamo visto che non viene nemmeno usato il termine "figli di Maria", riferita ai presunti fratelli e sorelle. Si riscontra sempre e solo "Maria madre di Gesù", o "sua madre e i suoi fratelli", mai "sua madre e gli altri suoi figli".
Il modo di espressione degli ebrei, a prescindere dall’esistenza o meno di termini adatti, viene sempre rigorosamente rispettato dagli evangelisti.
Ogni volta che ci possono essere dubbi sul grado di parentela, gli ebrei precisano, tranne nei casi il cui racconto evidenzia in maniera chiara la fratellanza uterina.
Ma continuiamo ad analizzare altri versetti che usano la parola fratello o sorella.
Dt 27,22 "Maledetto chi si unisce con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre! Tutto il popolo dirà: Amen."

Oggi non si direbbe più "figlia di suo padre o figlia di sua madre" ma semplicemente "sua sorella", anche qui si nota chiaramente che il modo di esprimersi di quei tempi non è uguale a quello dei nostri giorni, soprattutto rispetto a noi occidentali. Se invece si tratterebbe di una cugina si scriverebbe solo quest’ultimo termine, anche se tra cugini ci si può sposare.
Gb 19,17  "Il mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio schifo ai figli di mia madre"

A Giobbe sarebbe bastato dire "faccio schifo ai miei fratelli", invece usa il linguaggio semitico, e specifica, "figli di mia madre", perché se avrebbe detto "ai miei fratelli" i suoi contemporanei avrebbero sicuramente frainteso, cioè avrebbero potuto capire che quelle parole erano riferite anche ai suoi cugini, parenti o compaesani vari.
Sal 50,20  "Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre."


Anche qui sarebbe bastato dire "getti fango contro tuo fratello", ma per identificare in maniera inequivocabile il fratello carnale da quello di fede, viene aggiunto "figlio di tua madre".
Infatti nella prima parte della frase viene menzionato un fratello di fede, nella seconda un fratello uterino.
Sal 69,9  "Sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre."
Perché Davide ripete due volte la stessa cosa, estraneo e forestiero che in definitiva sono due sinonimi?
Nella prima parte della frase se i suoi fratelli sarebbero stati i figli di sua madre che bisogno c’era di ripetere termini sinonimi "estraneo e forestiero"?

Usa i due sinonimi perché quando dice "i miei fratelli" non si riferisce ai fratelli carnali ma ai parenti, come anche ai suoi compatrioti, infatti quando si riferisce ai fratelli uterini usa il termine "figli di mia madre". Stiamo vedendo con numerose prove bibliche, -altro che due o tre versetti- come l’attribuire ad "adelphos, adelphoi" il significato univoco di fratello è errato. Con tali termini infatti gli ebrei usavano indicare diverse tipologie di persone.
Quando si trattava di indicare fratelli uterini, si trova sempre la specificazione: "figli di mia madre" e similari, tranne nei casi in cui la fratellanza uterina è palese.
Quindi, ritornando a Davide, nella sua osservazione prima si rivolge ai parenti e ai compatrioti o ai fratelli di fede, poi si riferisce ai fratelli carnali, non è pensabile che Davide ripeta due volte la sua estraneità verso le stesse persone. Scrivendo in quel modo intende proprio distinguere, i fratelli, dai figli di sua madre (fratelli carnali).
Ct 1,6 "I figli di mia madre si sono sdegnati con me:"
Anche qui, che bisogno c’era di dire "i figli di mia madre" poteva benissimo dire "i miei fratelli si sono sdegnati di me", ma per dare un significato preciso alle sue parole, e non dare l’impressione che con il termine fratelli si riferisse anche ai cugini o ai compaesani, egli preferisce usare la frase "figli di mia madre" proprio per precisare il significato della sua frase.

Continuiamo ancora a leggere dalla Bibbia:
Giudici, 8,18 "Poi disse a Zebach e a Zalmunna: «Come erano gli uomini che avete uccisi al Tabor?». Quelli risposero: «Erano come te; ognuno di loro aveva l’aspetto di un figlio di re». Egli riprese: «Erano miei fratelli, figli di mia madre…"
Perché Gedeone specifica "figli di mia madre"?
Che bisogno c’era se la parola fratelli veniva usata solo per indicare i fratelli carnali?
Anche questo prova che gli ebrei potevano indicare con la frase "i miei fratelli" anche e soprattutto i parenti di primo grado e i compatrioti, altrimenti non c’era bisogno che specificassero "figli di mia madre".
Cronache cap. 27 "Figli di Merari: Macli e Musi. Figli di Macli: Eleàzaro e Kis. Eleàzaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli."
Eleazaro morì avendo soltanto figlie femmine, queste ultime si sposarono con i figli di Kis, quindi con il loro cugini di primo grado, perché Kis era fratello carnale di Eleàzaro. Anche qui si vede chiaramente che viene usata la parola "fratelli" per indicare i cugini.
In questo episodio viene pure spiegato che non si tratta di fratelli carnali, è questo uno di quelli citati dal Gilles, che stranamente non cita i versetti dove viene sempre aggiunto "figli di mia madre, o di mio padre".
2° CRONACHE  CAP. 21 "Giòsafat si addormentò con i suoi padri e fu sepolto con loro nella città di Davide. Al suo posto divenne re suo figlio Ioram. I suoi fratelli, figli di Giòsafat, erano Azaria, Iechièl, Zaccaria, Azariau, Michele e Sefatia; tutti vediamo chi sono in realtà:

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