Perchè Gesù imponeva il silenzio sui Miracoli Catechesi
Catechesi quarta parte
GESU' IMPONEVA IL SILENZIO SUI MIRACOLI
Perché Gesù imponeva il silenzio riguardo a Sé? ma anche ai discepoli, lebbrosi risanati e paralitici guariti; addirittura ai demoni che scacciava dai posseduti nel corso degli esorcismi. Silenzio che sembra una contraddizione?
di Francesco Lamendola
Perché Gesù imponeva il silenzio riguardo a Sé?
Una costante della vita pubblica di Gesù - che è stata, al tempo stesso, vita di adorazione ardente e instancabile del Padre celeste – è l’imposizione del silenzio ai discepoli, ai lebbrosi risanati, ai paralitici guariti, e, addirittura, anche ai demoni che scacciava dai posseduti, nel corso degli esorcismi: il silenzio sia su di Sé, sia sulle sue opere. Eppure, Gesù è venuto nel mondo per farsi riconoscere, per manifestare le opere di Dio: come si spiega questa apparente contraddizione? Come si deve interpretare la sua consegna di tacere?
In primo luogo, bisogna notare che il silenzio imposto da Gesù ai suoi contemporanei non è di natura uniforme: varia a seconda delle persone e delle situazioni. E Lui stesso che, a un certo punto, esclama: Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre, riferendosi proprio alla richiesta di alcuni farisei, di rimproverare i suoi discepoli, che lo acclamavano come il Messia d’Israele (Vangelo di Luca, 19, 40).
Possiamo suddividere in tre categorie coloro ai quali Gesù imponeva di fare silenzio sulla sua vera natura, sulla sua reale identità di Figlio di Dio, e Dio Lui stesso:
i demoni scacciati durante gli esorcismi,
i malati e gl’indemoniati che ricorrevano a Lui per essere risanati o liberati,
e infine i suoi discepoli.
Ai primi Gesù ordinava di tacere, probabilmente, perché non voleva che l’annuncio della sua natura divina venisse fatto per mezzo loro: ciò avrebbe tolto ogni credibilità e ogni autorevolezza alla sua figura e alla sua missione, anzi, avrebbe addirittura gettato una luce ambigua e sinistra su di esse;
né mancavano i farisei e gli scribi che lo accusavano di avere un demonio lui stesso, e di cacciare gli spiriti immondi proprio in virtù dei suoi poteri infernali (cfr. Luca, 11, 15; Matteo, 12, 24; Marco, 3, 30), provenienti da Beelzebul, il principe dei demoni.
Ai secondi, cioè ai malati e agl’indemoniati guariti, Gesù ordinava di tacere le sue opere prodigiose perché non voleva che la folla lo acclamasse prima del tempo, cioè senza aver compreso affatto la vera natura della sua opera messianica; inoltre, perché temeva di essere scambiato per un semplice taumaturgo, o per uno dei tanti predicatori itineranti, a scapito della parte più importante della sua missione: l’annuncio del Regno di Dio, in un senso eminentemente spirituale ed etico, e non certo politico, come avrebbero voluto gli zeloti.
Infine ai discepoli Gesù ordinava di non divulgare la sua natura divina, anche dopo la professione di fede di san Pietro a Cesarea: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (Matteo, 16, 16): allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo (idem, 20), operando così una selezione fra i discepoli, che aveva messo a parte del suo segreto, e tutti gli altri, ai quali rivelò la sua natura divina solo alla fine: davanti al Sinedrio che lo stava giudicando, e davanti a Pilato che l’interrogava. Anche nell’ingresso trionfale a Gerusalemme, a cavallo d’una mula, come annunciato dal profeta Zaccaria (9, 9), egli si presentò nelle vesti del Messia tanto atteso: ma si era ormai, appunto, nella imminenza della Passione.
Ci piace riportare una riflessione di Carlo De Ambrogio, fondatore del movimento Gioventù Ardente Mariana (Arsiero, Vicenza, 5 marzo 1921-Torino, 7 novembre 1979), autore della traduzione dal greco del Vangelo di Marco (Rosta, Torino, Centro Mater Divinae Gratiae, 1967, pp. 112-115):
A Cesarea di Filippo, Pietro esce in una netta ed esplicita dichiarazione: Gesù è il Messia. Prima di questa scena, Gesù aveva imposto silenzio ai demoni in ciò che riguardava l’identità della sua persona. Anche ai malati da lui guariti aveva imposto un identico silenzio sui suoi atti prodigiosi. Dopo Cesarea, Gesù riserva ai discepoli un’ulteriore rivelazione che nasconde invece alle folle. Ecco una triplice serie di fatti.
1. Durante la guarigione dell’indemoniato di Cafarnao (primo miracolo raccontato da Matteo), lo spirito impuro vocifera: “Che vuoi tu da noi, Gesù di Nazaret? Sei tu venuto per rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”. Ma Gesù lo minacciò: “Taci gli disse - ed esci da costui”. In un condensato sull’attività di Gesù a Cafarnao, Marco riferisce che, venuta la sera, gli portarono davanti malati e indemoniati; il Maestro li guariva, “ma proibiva ai demoni di parlare perché essi sapevano chi egli fosse”. In un altro commento, in cui viene riassunta l’attività di Gesù in Galilea, Marco annota: “E gli spiriti immondi, vedendolo, cadevamo ai suoi piedi gridando: ‘Tu sei il Figlio di Dio’. Ma egli intimava loro con forza di non farlo conoscere”.
L’indemoniato di Gerasa possiede anche lui una conoscenza sull’identità di Gesù: “Vedendo Gesù da lontano, corse a prostrarglisi innanzi e gridò forte: ‘Che vuoi tu da me, Gesù, Figlio di Dio Altissimo? Ti scongiuro, per Dio, di non tormentarmi’. Gesù infatti gli diceva: ‘Esci, spirito immondo, da quest’uomo’. In questo caso però non c’è imposizione di silenzio.
2. L’imposizione del silenzio ai malati guariti è di tutt’altro genere. Nella guarigione del lebbroso Gesù sgrida il miracolato e lo allontana subito dicendogli: “Bada di non dire nulla ad alcuno”. Prima Marco aveva scritto: “Mosso da compassione, Gesù stese lamano, lo toccò e gli disse: ‘Lo voglio, sii guarito’.” Compiuto il miracolo, Gesù entra in collera e caccia via il lebbroso guarito. Questa collera e questa azione fanno tutt’uno con il comando: “Bada di non dire nulla ad alcuno”. Il lebbroso disobbedisce: “Appena andato via si mise a propagandare ad alta voce e a divulgare la notizia tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in una città, ma doveva tenersi fuori, nei luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte”. Così l’ordine del silenzio va di pari passo con una manifestazione di prodigio; cioè viene impartito da Gesù dopo una sua rivelazione di forza taumaturgica.
Nella guarigione del sordomuto, stesso procedimento. L’ordine di tacere viene dato ai testimoni del miracolo, che disobbediscono. “Gesù ordinò che non lo dicesse road alcuno, ma quanto più glielo comandava, tanto più lo divulgavano. E al colmo dell’ammirazione dicevano: “Ha fatto stupendamente ogni cosa. Fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
In altri casi, c’è solo l’ordine di fare silenzio: risuscitata la figlia di Giairo, Gesù raccomanda vivamente al padre, alla madre e a quelli che lo accompagnavamo, cioè a Pietro, Giacomo e Giovanni, che nessuno lo venga a sapere; dopo la guarigione del cieco a Betsaida, Gesù lo lascia andare dicendogli: “Non dirlo neppure nel paese”.
3. Il silenzio imposto ai discepoli è di tutt’altra natura e portata. Fa parte dell’insegnamento speciale che è loro riservato; il mistero vien loro spiegato in maniera particolare; l’insegnamento per mezzo delle parabole vien reso loro intelligibile: “A voi è stato dato il mistero del Regno di Dio”. La vera natura del messianismo di Gesù che deve soffrire, morire e risorgere vien loro inculcato per tre volte (8, 31-32; 9, 30-32; 10, 33-34). Ma il silenzio sulla Trasfigurazione è imposto a Pietro, Giacomo e Giovanni “finché il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti”. Così pure, dopo la professione di fede a Cesarea Gesù “intimò loro severamente di non parlare ad alcuno di lui”.
L’imposizione del silenzio da parte di Gesù ha una contropartita: Gesù si rivela pubblicamente e manifestamente come Messia. Assumendo per sé il titolo di Figlio dell’uomo Gesù rivendica a sé il potere di perdonare i peccati, di essere il padrone del sabato. All’uscita da Gerico, il cieco Bartimeo proclama Gesù “figlio di Davide”; dopo la parabola dei vignaioli omicidi, gli avversari di Gesù capiscono perfettamente che è per loro che Gesù ha parlato sull’erede messo a morte. Soprattutto nell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme e davanti al Sinedrio Gesù rivela pubblicamente il suo carattere messianico.
“E voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. Il titolo “Figlio dell’uomo” con quel ‘quid’ di enigmatico che racchiude, invita a penetrare il mistero di Dio. Il segreto sarà svelato nella risurrezione e nell’esaltazione di Gesù. I poteri prodigiosi di Gesù sulle malattie e sugli spiriti impuri obbligano la fola a riconoscere che il Maestro predica una dottrina nuova, impartita con un’autorità mai prima di allora uguagliata. I discepoli si domandano meravigliati sismi: “Ma chi è costui a cui perfino il vento e il mare obbediscono?”. Gesù invita il Geraseno liberato dal demonio ad annunziare ai suoi ciò che il Signore ha fatto per lui nella sua misericordia. Dopo la guarigione del sordomuto la folla, al colmo dell’ammirazione, esclama: “Ha fatto bene tutte le cose: fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
Gesù, dunque, era perfettamente consapevole che perfino i suoi discepoli più fidati, dopo un lungo periodo di vita insieme, non erano ancora in grado di capire sino in fondo il senso della sua missione e la sua stessa natura: avevano capito e proclamato, sì, che egli era il Messia, ma che cosa intendevano per Messia? Erano riusciti, almeno loro, a distaccarsi dalla visone tradizionale del Messia d’Israele, quella di un restauratore trionfante della potenza politica, oltre che religiosa, del regno di Davide e Salomone? No, non c’erano riusciti: tanto è vero che, al momento dell’arresto di Gesù, si scandalizzarono e lo abbandonarono: non prima che san Pietro, e probabilmente anche qualche altro, avessero cercato di difenderlo con le spade in mano, appunto come se il suo Regno fosse di questo mondo, e andasse difeso come si difendono i re ed i regni umani. Tutto questo il Maestro lo sapeva: aveva soppesato la loro fede, le loro possibilità di comprensione, e aveva concluso che essi, fino all’ultimo, cioè fino alla Cena pasquale dell’addio, poco avevano capito, e che solo con l’aiuto dello Spirito Santo, dopo la sua morte e resurrezione, le cose sarebbero finalmente state chiare per essi. L’evangelista riferisce questo fatto con molta precisione (Giovanni, 16, 12-15): Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che penderà del mio e ve l’annunzierà.
Leggere il Nuovo Testamento in pantofole, tranquilli, seduti sulla poltrona, senza tener conto della concreta situazione psicologica e spirituale in cui si trovavano i contemporanei di Gesù Cristo, a cominciare dagli apostoli, nei suoi confronti, rischia di essere terribilmente fuorviante; rischia di farci dimenticare l’immensa difficoltà che essi avevano di riconoscere in Gesù una creatura umana e divina al tempo stesso. È per questo che Lui per primo cercava d’impedire che una simile voce si spargesse indiscriminatamente fra il popolo: voleva, per intanto, preparare i suoi discepoli; dagli altri, per esempio dai paralitici, i ciechi, i muti, i lebbrosi e gli ossessi che gli si presentavano, o che gli venivano condotti, affinché lui li guarisse, si accontentava di condurli a un atteggiamento di fede piena e incondizionata nella bontà e nella potenza del Padre celeste. E dire che esisteva una grandissima difficoltà nel riconoscere la natura divina di Gesù non equivale a ”giustificare” gli scribi e i farisei che lo vollero morto ad ogni costo, bensì a calarsi nella situazione e, nello stesso tempo, a ricordare che la fede del cristiano è la fede nell’invisibile.
Beati quelli che crederanno senza aver visto, dice Gesù a san Tommaso, in seguito alla resurrezione, dopo avergli fatto mettere il dito nelle sue piaghe. Per gli apostoli, poi, c’era anche la tensione dovuta alla consapevolezza che Gesù, dopo aver lanciato il guanto della sfida all’ipocrisia dei farisei, stava andando dritto verso il martirio: Andiamo a morire con Lui! (Gv. 11, 16) esclamò lo stesso Tommaso, allorché Gesù decise di salire a Gerusalemme per festeggiare la Pasqua e immolare se stesso come un nuovo, sublime olocausto pasquale, per la redenzione di tutti gli uomini. Ma che Gesù volesse immolarsi, questo non potevano capirlo, tanto meno accettarlo: si veda la sdegnata reazione di san Pietro all’annuncio, ormai esplicito, di Gesù, che avrebbe dovuto andare a Gerusalemme, soffrire molto per mano degli uomini, venire ucciso e poi risorgere il terzo giorno: Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai! (Mt., 16, 22); e l’ancor più sdegnata reazione di Gesù verso lui: Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! (id., 23).
In conclusione, riconoscere la messianicità di Gesù, e, soprattutto, la sua natura divina, era assai difficile secondo il pensare umano, mentre diveniva, e diviene, possibile, se ci si affida alla grazia di Dio, che scioglie il cuore e la mente alla comprensione delle verità soprannaturali. Questo è ciò che si chiede a un cristiano. Per circa duemila anni, tale è stata la fede dei cristiani: una cosa possibile, non contro la ragione, ma con la ragione, fino ad un certo punto, e poi oltre la ragione. La cosa è divenuta nuovamente difficilissima, come e forse più di quanto lo fosse per i contemporanei di Gesù, con l’avvento della Ragione illuminista, “libera” e spregiudicata: di fatto, una ragione assai più ristretta e limitata di quella che ha forgiato intelligenze come quelle di sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino o Blaise Pascal. La Ragione moderna - la nostra – ci ha ripiombati nel dubbio...