I Protestanti Luterani non possono fare la comunione Eucaristia
Catechesi terza parte
La Comunione? Ai protestanti non si può dare
Chiunque voglia ricevere sacramentalmente il Corpo e il Sangue di Cristo
deve essere già inserito nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, attraverso la
confessione della fede e il battesimo sacramentale. Per questo i protestanti
non possono essere ammessi alla Comunione, anche se sposati con cattolici. Una
risposta ai vescovi tedeschi.
Secondo il Cardinale Reinhard Marx, i vescovi tedeschi hanno di
recente preparato delle linee guida che contemplano la possibilità di ammettere
alla Santa Comunione dei protestanti che sono sposati con un coniuge cattolico.
L’unico prerequisito irrinunciabile sarebbe che questi protestanti affermino la
fede della Chiesa Cattolica. (Alcune notizie recenti riportano che la
Congregazione per la Dottrina della Fede, con il consenso del Papa, ha respinto
la proposta dei vescovi tedeschi. Tuttavia i vescovi tedeschi negano che le
cose siano andate così).
Il Cardinale Marx ha aggiunto che aprire a questa possibilità non
comporterebbe un cambiamento dottrinale, ma semplicemente modificherebbe
l’approccio pastorale. In ogni caso, questa nuova procedura “pastorale” non
avrebbe implicazioni dottrinali? È sufficiente affermare la fede della Chiesa
Cattolica per poter ricevere l’Eucarestia, oppure è necessario appartenere
realmente alla Chiesa Cattolica?
Per la fede cattolica, il legame tra Chiesa ed Eucarestia è costitutivo.
Pertanto, in linea di principio, possono ricevere la comunione sacramentale
solamente quei battezzati che sono in piena comunione ecclesiale con “l'unica
Chiesa di Cristo… in questo mondo costituita e organizzata come società, [che]
sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai
vescovi in comunione con lui” (Lumen Gentium n. 8). Chiunque mette in
discussione questa verità rivelata nella teoria o la ignora in pratica entra in
aperto contrasto con la fede cattolica. Cercherò di mostrare il legame che
esiste tra la comunione sacramentale da un lato e la comunione ecclesiale
dall’altro, e lo farò dalla prospettiva della Rivelazione, così come viene
fedelmente e integralmente custodita nella Chiesa Cattolica, senza discutere le
controverse linee guida della Conferenza Episcopale Tedesca.
Capita spesso che oggi la teologia venga subordinata all’ideologia
e alle politiche ecclesiastiche. Anziché scambiarsi argomentazioni in un
dibattito aperto, si getta discredito sulle persone. Ogni problematica viene
incentrata sulle persone, e così viene neutralizzata. Anche se qualcuno conosce
la Sacra Scrittura a memoria, ha studiato i Padri della Chiesa e dimostra di
essere uno specialista nella filosofia e nella scienza moderne, per gettare
discredito su di lui è sufficiente che qualche isolato giornalista o teologo
dilettante lo chiami “conservatore” e tutta la sua conoscenza verrà ridotta a
nulla, così come quando il vino migliore diventa imbevibile allorché si mischia
con una goccia di veleno. Ogni vescovo di nuova nomina viene analizzato nella
sua prima conferenza stampa e viene etichettato come conservatore o liberale -
qualunque cosa questo significhi - a seconda che si esprima pro o contro
l’ordinazione delle donne, pro o contro la benedizione delle coppie
omosessuali, pro o contro il celibato sacerdotale e pro o contro la Santa
Comunione per i divorziati risposati. Non interessano altre questioni e non
contano argomentazioni differenziate.
Allora insinuazioni di personali tendenze ideologiche prendono il posto di una discussione oggettiva. Quanti prediligono una più flessibile connessione tra la comunione ecclesiale e la comunione dei sacramenti - apparentemente per facilitare alle persone di oggi l’accesso alla fede - accusano immediatamente quelli che li criticano di essere ottusi e di avere un’adesione rigida e farisaica a quei dogmi che il cristiano secolarizzato non è più in grado di comprendere.
Allora insinuazioni di personali tendenze ideologiche prendono il posto di una discussione oggettiva. Quanti prediligono una più flessibile connessione tra la comunione ecclesiale e la comunione dei sacramenti - apparentemente per facilitare alle persone di oggi l’accesso alla fede - accusano immediatamente quelli che li criticano di essere ottusi e di avere un’adesione rigida e farisaica a quei dogmi che il cristiano secolarizzato non è più in grado di comprendere.
Siamo testimoni di un clima anche dogmatico che ha degli
effetti negativi sulla comprensione dei sacramenti. I sacramenti non vengono
più considerati come i segni visibili istituiti da Cristo e celebrati nella
Chiesa, che producono la grazia invisibile in coloro che sono ben disposti. I
sacramenti sono diventati mezzi psicologici e sociali di sostegno per
facilitare le nostre esperienze mistiche interiore con un “Cristo” plasmato
nella nostra coscienza a nostra immagine e somiglianza. Certamente la grazia
dei sacramenti non è un premio per una buona condotta morale, ma ancor meno è
una giustificazione di una condotta immorale di una vita vissuta contro i
comandamenti di Dio. Quando si ha a che fare con la relazione tra grazia e
moralità, non siamo di fronte a un “o-o”, ma ad un “e-e”, così come leggiamo
nei documenti del Concilio Vaticano Secondo: “il carattere sacro e organico della
comunità sacerdotale viene attuato per mezzo dei sacramenti e delle virtù” (Lumen
Gentium n. 11).
Oggi molte persone sono incapaci di inserirsi veramente nella
liturgia perché non riescono a far risalire la vita della Chiesa e i
dogmi al fatto dell’Incarnazione, ma invece considerano il cristianesimo
semplicemente una variazione storica di un generale sentimento religioso
indotto da una trascendenza generica. La natura, l’azione e l’effetto dei
sacramenti vengono rivelati solo nella luce dell’Incarnazione e della reale
mediazione storica della salvezza nella Croce e Risurrezione di Cristo, il
Verbo incarnato di Dio. Da questa prospettiva si percepisce immediatamente che
la forma mentis di quanti dicono “questo sarebbe dogmaticamente corretto, ma
non funziona per la cura pastorale” è completamente non-cattolica. Cristo
maestro di verità, che è Dio, e che realizza in noi la conoscenza e l’amore di
lui, è allo stesso tempo il Buon Pastore e il “Pastore delle nostre anime” (1
Pt 2, 25), che ha dato la sua vita per noi sulla Croce. Perciò non ci può
essere una doppia verità nell’insegnamento cattolico. Ciò che è dogmaticamente
sbagliato avrà effetti nocivi sul lavoro pastorale, nella misura in cui
quest’ultimo sarà guidato da falsi principi, mettendo in pericolo la salvezza
delle anime.
Nella nostra epoca di mezzi di comunicazione sociale, di
comunicazione digitale e di mainstreaming totalitario, ciò che è di
primaria importanza non è se il papa o i vescovi raggiungono le persone, ma
piuttosto che attraverso i loro messaggi Cristo raggiunga le persone, Cristo
che è la verità e la vita di Dio. Perciò l’unico e indivisibile magistero della
Chiesa, il papa e i vescovi in unione con lui, hanno la grave responsabilità di
fare in modo che nessun segno ambiguo o insegnamento incerto provenga da loro,
confondendo i fedeli o cullandoli in un falso senso di sicurezza. Per il papa e
i vescovi, fa parte del loro rischio del mestiere trovarsi in situazioni in cui
gli opinion leaders e i potenti di questo mondo li accusano di avere
perso i contatti con la realtà, di essere ostili alla vita, o fermi al
medioevo. I profeti furono perseguitati. Gesù aveva avvertito i suoi discepoli
che le genti avrebbero “detto ogni sorta di male” contro di loro, mentendo, a
causa della vera fede (cf. Mt 5,11). Perché allora i vescovi, in quanto
successori degli Apostoli, pensano che la ragione della persecuzione e della
diffamazione si trovi semplicemente in una errata politica mediatica, che
potrebbe essere facilmente corretta da migliori capacità comunicative?
Nell’epoca del relativismo dogmatico, che rapidamente si
trasforma in una persecuzione verbale e violenta dei testimoni della verità
rivelata, c’è bisogno di chiarezza nel pensiero teologico e del coraggio dei
martiri per poter dare testimonianza alla verità, come Gesù di fronte a Pilato.
La preoccupazione della Chiesa è di seguire Cristo nella verità di Dio, e non
il potere del mondo. Ma noi vogliamo testimoniare la fede cattolica ed esserne
esempi viventi in un modo che ci permetta di camminare insieme con i cristiani
delle chiese ortodosse e di altre denominazioni sulla via della piena unità
della Chiesa, come il suo fondatore Gesù Cristo lo desidera.
Quando istituì l’Eucaristia, Gesù non diede risposte dettagliate
a tutte le singole problematiche che sarebbero sorte nella riflessione
successiva. Ma tutte le dichiarazioni dogmatiche della Chiesa si fondano sulla
natura di questo sacramento così come Gesù l’ha istituito. Chiunque voglia
ricevere sacramentalmente il Corpo e il Sangue di Cristo deve essere già
inserito nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, attraverso la confessione della
fede e il battesimo sacramentale. Quindi non esiste una comunione con Cristo
mistica, individualistica ed emotiva che possa essere pensata a prescindere dal
battesimo e dall’appartenenza alla Chiesa. D’altra parte, Cristo è sempre il
Capo del suo corpo, e il suo corpo è la Chiesa. Non può esistere alcuna
comunione mistica e individualistica con Cristo basata sul sentimento,
prescindendo dall’appartenenza al corpo ecclesiale di Cristo.
È sempre stato chiaro a tutti i cattolici che per ricevere
il Corpo e il Sangue di Cristo nell’Eucaristia in modo legittimo e fecondo, è
necessario essere in piena comunione con il corpo ecclesiale di Cristo nella
professione del Credo, nei sacramenti e nella costituzione gerarchica della
Chiesa visibile. Inoltre, i fedeli devono essere nello stato di grazia
santificante - cioè essi devono essere sinceramente pentiti di ogni peccato
mortale e averlo confessato, risolvendo fermamente di non peccare ancora.
Ordinariamente è nell’assoluzione sacramentale che i fedeli sono liberati da
colpe gravi che li separano radicalmente da Dio e dalla Chiesa.
Quando i papi e i concili scomunicavano gli eretici e gli scismatici,
essi escludevano questi fedeli battezzati dalla Comunione eucaristica fino a
quando si fossero convertiti e riconciliati con Dio e con la Chiesa; e
viceversa anche gli eterodossi, che si considerano ortodossi, negano la
comunione ecclesiale ai cattolici, rifiutando loro la
Comunione eucaristica.
Fu solo con la Concordia di Leuenberg tra le chiese europee
riformate, nel 1973, che i Luterani e i Riformati autorizzarono i loro
membri a partecipare alle rispettive celebrazioni della Cena del Signore e a
permettere al proprio clero di pregare nelle reciproche congregazioni. Comunque
fino a questo momento, essi si tennero ancorati al principio che risale alla
Chiesa dei primi secoli, cioè al principio che la comunione nei sacramenti non
può essere separata dalla comunione ecclesiale. E per la verità non tutte le
comunità ecclesiali che provenivano dalla Riforma hanno aderito alla Concordia
di Leuenberg. Secondo alcuni, questo accordo finì per risolvere la controversia
sulla presenza reale di Cristo nella Cena del Signore in un modo troppo vicino
alla prospettiva calvinista, non giungendo ad una vera unità di fede su questo
tema.
Ci sono certamente stati progressi significativi nel dialogo
della Chiesa Cattolica con le diverse comunità protestanti. Ciò nonostante, la
Chiesa Cattolica non può allontanarsi dagli insegnamenti essenziali della fede
che riguardano la sua missione e i sacramenti che essa dispensa. Se lo facesse,
diventerebbe infedele a Cristo. Non è
sufficiente per un cristiano non cattolico accettare in maniera selettiva
alcuni insegnamenti della Chiesa e respingerne altri o considerarli non
importanti. Nell’insegnamento sull’Eucaristia, esiste un accordo pressoché
completo tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse (la Presenza Reale, il
carattere sacrificale della Messa, la necessità del sacerdozio ordinato, senza
il quale non c’è Eucaristia). Esiste invece un accordo parziale tra la Chiesa Cattolica e alcune comunità protestanti,
specialmente quelle luterane.
Per i cattolici, i sacramenti non sono semplicemente i segni della
giustificazione del peccatore, che è già avvenuta grazie alla sola fede. Invece
essi sono segni che realizzano ciò che significano. Sì, ci possono essere delle
circostanze in cui sacramenti della grazia non possono essere amministrati come
segni visibili, e nondimeno Dio comunica la grazia dei sacramenti a coloro che
confidano in lui nella fede, speranza e carità. Ma egli opera così per la
salvezza degli uomini senza con ciò rendere meno importante la visibile,
sacramentale mediazione della salvezza, che si basa sull’Incarnazione ed è
conforme alla natura umana.
Allorché si interpreta la fame spirituale di Dio e della grazia
divina da parte degli uomini in termini psicologici anziché teologici,
si profila il pericolo di confondere i sacramenti cristiani con la magia
pagana. A motivo della fede e della grazia soprannaturali, l’Eucaristia è un
“farmaco di immortalità” (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini);
non è un rimedio per esperienze e traumi psico-drammatici. In questo caso è
importante utilizzare gli aiuti naturali della medicina e della terapia. È
impossibile che l’Eucaristia ristabilisca fisicamente, per così dire, la
comunione ecclesiale perduta, senza quell’unione soprannaturale che deriva da
una comune confessione di fede, di sacramenti e di visibile unità con il papa e
con i vescovi.
Alcuni affermano, con apparente generosità, che le cose non
dovrebbero essere interpretate in modo così restrittivo e che in ultima analisi
la decisione di ricevere la Santa Comunione dovrebbe essere lasciata ai pii
sentimenti e alla buona volontà delle persone. In realtà, questo richiamo ai
sentimenti soggettivi che scavalcano la disciplina sacramentale mostra una
noncuranza per la fede così com’è stata rivelata da Dio e affidata alla Chiesa
Cattolica. Quando singole conferenze episcopali cercano di risolvere le
difficoltà mediante l’esercizio del potere, rinunciando di sforzarsi a
pervenire ad una conoscenza più profonda della fede cattolica, ed emanando un
diktat autoritario, presumendo
tacitamente l’approvazione del papa, allora il magistero della Chiesa sta
danneggiando se stesso.
Infatti la sua autorità non si fonda su un potere amministrativo, ma sulla “parola di Dio, scritta o trasmessa”. Il magistero “non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio” (Dei Verbum n. 10).
Infatti la sua autorità non si fonda su un potere amministrativo, ma sulla “parola di Dio, scritta o trasmessa”. Il magistero “non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio” (Dei Verbum n. 10).
Dio ha stabilito soltanto un solo magistero nella Chiesa Cattolica.
Alcuni ritengono che nella Chiesa possano esserci delle diversità e delle
divergenze in materia di fede e nell’amministrazione dei sacramenti. È stato anche proposto che le conferenze
episcopali o i singoli vescovi abbiano un magistero per conto proprio per
mezzo del quale interpretare la Rivelazione a pieno titolo, in modo
dogmaticamente vincolante senza legami con il papa e l’episcopato universale. Questa proposta rivela non solo una
preoccupante mancanza di formazione teologica, ma anche un enorme attacco
all’unità della Chiesa in Cristo.
Per la Chiesa universale e il collegio dei vescovi, il papa è il principio dell’unità della fede e il fondamento della comunione nei sacramenti. I singoli vescovi hanno un ruolo analogo per le loro chiese locali (cf. Lumen Gentium 18; 22). Essi non devono essere la causa della frammentazione della Chiesa universale in chiese nazionali autocefale. Il principio secolare di decentralizzazione politica del potere può essere applicato alla Chiesa solo per analogia e solo per quanto attiene questioni logistiche dell’amministrazione ecclesiastica. Sicuramente non può essere applicato alla verità che unisce tutti i credenti in Dio, i quali continuano ad essere “perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (Atti 2, 42).
Per la Chiesa universale e il collegio dei vescovi, il papa è il principio dell’unità della fede e il fondamento della comunione nei sacramenti. I singoli vescovi hanno un ruolo analogo per le loro chiese locali (cf. Lumen Gentium 18; 22). Essi non devono essere la causa della frammentazione della Chiesa universale in chiese nazionali autocefale. Il principio secolare di decentralizzazione politica del potere può essere applicato alla Chiesa solo per analogia e solo per quanto attiene questioni logistiche dell’amministrazione ecclesiastica. Sicuramente non può essere applicato alla verità che unisce tutti i credenti in Dio, i quali continuano ad essere “perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (Atti 2, 42).
Nonostante ciò, in situazioni estreme di pericolo
di morte, quando ad essere in gioco è l’immediata preparazione
del credente al suo giudizio particolare e alla vita eterna, la Chiesa non può negare un aiuto pastorale ai cristiani non
cattolici battezzati, quando seriamente lo richiedono. Evidentemente
questo può avvenire solo nel rispetto della fede del credente. In effetti,
molti cristiani non cattolici non sono stati responsabili dell’eresia e non
sono andati fuori dalla Chiesa Cattolica per propria iniziativa. A motivo del
battesimo e di molti altri elementi che costituiscono la Chiesa, i cristiani
delle comunità ecclesiali che provengono dalla Riforma hanno un vero legame con
la Chiesa Cattolica. Esiste in effetti una comunione, sebbene non sia una piena
comunione (Unitatis Redintegratio n.3).
Quando i cristiani non cattolici in situazioni di grave necessità che
pesa sulla loro salvezza eterna - situazioni che non devono essere confuse con
situazioni sociali o psicologiche difficili - richiedono un sacerdote cattolico
per il perdono sacramentale dei loro peccati e per la Santa Comunione come
viatico, cioè come nutrimento per il loro ultimo
viaggio, allora questi sacramenti della grazia possono essere loro dati.
Non sono richieste altre condizioni se non che essi affermino la fede della
Chiesa relativamente a questi sacramenti, almeno implicitamente. Infatti, a
motivo della loro fede, speranza e carità, Dio concede loro la grazia dei
sacramenti. Deve essere evitata qualsiasi apparenza di
relativismo.
In ogni caso, non si devono arbitrariamente estendere concetti
come “grave necessità” (Codex Iuris Canonici, can. 844 §4) al punto di
arrivare ad una unione sacramentale de facto della Chiesa Cattolica
con le comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa. La legge
canonica dev’essere interpretata alla luce della fede rivelata e, nella misura
in cui si tratta di una legge meramente ecclesiastica, deve essere anche
rettificata nella stessa luce. Per converso, è impossibile che disposizioni
canoniche positive meramente umane arrivino ad inficiare la fede. Una divergenza tra la dottrina della fede e la sua pratica
non è possibile, se vogliamo rimanere cattolici. In ultima analisi,
l’obiettivo non è l’intercomunione tra le chiese visibili che continuano a
rimanere separate, ma piuttosto l’unità visibile della Chiesa che è
rappresentata e realizzata nell’unità della fede, dei sacramenti e del
riconoscimento dell’ufficio di insegnamento e di governo del papa e dei vescovi
(Unitatis Redintegratio n. 4).
Sebbene un matrimonio misto possa diventare una grande
sfida per gli sposi e per i loro figli, può essere, nello stesso tempo,
un’opportunità dal punto di vista ecumenico. Sicuramente, comunque, esso non presenta una situazione di “grave e urgente
necessità”, che richiederebbe l’amministrazione dei sacramenti della
Chiesa Cattolica alla parte non cattolica per la salvezza della sua anima. Se i
cristiani protestanti giungono all’intima convinzione che nella loro coscienza
confermano l’intera fede cattolica e la sua forma ecclesiale, allora essi devono anche cercare la piena visibile comunione
con la Chiesa Cattolica.
Per quanto riguarda le Chiese Ortodosse, la questione è
diversa sia dogmaticamente che praticamente, in quanto essi hanno la stessa
comprensione dei cattolici della Chiesa come realtà sacramentale. Hanno
sacramenti validi, il sacerdozio sacramentale e la valida ordinazione dei
vescovi, che sono i veri e legittimi successori degli Apostoli. Perciò, fermo
restando che “una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli”
e venga evitato l’errore dell’indifferentismo, e “sia fisicamente o moralmente
impossibile accedere al ministro cattolico”, un fedele
cattolico può chiedere a un sacerdote ortodosso il sacramento della Penitenza,
l’Unzione dei malati, e l’Eucaristia (Codex Iuris Canonici, can. 844
§2). Per quanto riguarda le disposizioni della Chiesa Cattolica, un
sacerdote cattolico può legittimamente dare i sacramenti a cristiani ortodossi
alla sola condizione che “li richiedano spontaneamente e siano ben disposti” (Codex
Iuris Canonici, can. 844 §3).
Gli ortodossi, al contrario, sono più riservati nelle loro relazioni con la Chiesa Cattolica. La ragione è che nella loro dottrina dei sacramenti, essi non sempre hanno tratto, o almeno non sistematicamente, le conclusioni della Chiesa Cattolica dalle fondamentali decisioni anti-donatiste del quarto e del quinto secolo. Seguendo queste decisioni, la Chiesa Cattolica crede che anche un sacerdote eretico o scismatico, o uno che non sta vivendo una vita moralmente irreprensibile, possa amministrare validamente i sacramenti, purché sia validamente ordinato e che celebri i sacramenti secondo l’intenzione della Chiesa.
Gli ortodossi, al contrario, sono più riservati nelle loro relazioni con la Chiesa Cattolica. La ragione è che nella loro dottrina dei sacramenti, essi non sempre hanno tratto, o almeno non sistematicamente, le conclusioni della Chiesa Cattolica dalle fondamentali decisioni anti-donatiste del quarto e del quinto secolo. Seguendo queste decisioni, la Chiesa Cattolica crede che anche un sacerdote eretico o scismatico, o uno che non sta vivendo una vita moralmente irreprensibile, possa amministrare validamente i sacramenti, purché sia validamente ordinato e che celebri i sacramenti secondo l’intenzione della Chiesa.
Riguardo alla competenza delle conferenze episcopali in
materia dottrinale, non si deve limitare la questione alla loro competenza
legale, canonica. È di estrema importanza ricordare che né i vescovi né il papa
hanno alcun potere di interferire nella sostanza dei sacramenti (Concilio di
Trento, Dottrina e cannoni sulla comunione sotto le due specie e la
comunione dei fanciulli, DH 1728), o tacitamente di iniziare processi per
introdurre errori e confusione nella pratica sacramentale, mettendo così in
pericolo la salvezza delle anime.
L’ecumenismo deve avere lo scopo di risolvere differenze dottrinali nella
sostanza della questione. Non può limitarsi a trovare
formule di compromesso, che sono ultimamente insostenibili. Addossando
la colpa della divisione della cristianità occidentale alla teologia
accademica, si finisce solo col favorire l’indifferenza
nelle questioni di fede. La conseguenza sarebbe allora quella di un nichilismo
ecclesiologico, che apre un baratro che alla fine inghiotte la Chiesa. Esiste
però un’alternativa che è importante tenere ferma: “la chiesa del Dio vivente…è
colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3, 15).
* Ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
* Ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
(Traduzione di Luisella Scrosati)
fonte La Nuova Bq
fonte La Nuova Bq